lunedì 25 aprile 2016

Beltane: Rituale Alternativo di Gruppo

“May it be a light to you in dark places, when all other lights go out” (J.R.R. Tolkien)

Beltane è il tempo della gioia, della passione per la vita e della spinta verso la realizzazione dei nuovi progetti nati ad Ostara. Tradizionalmente è una festa legata alla luce ed al fuoco.
In questo caso, tuttavia, ho scelto di concentrarmi su un altro aspetto. Ho preso spunto dall’esplosione di colori che la fioritura di questo periodo ci regala, fiori che peraltro sono usati insieme a nastri colorati per creare le tipiche coroncine di Beltane; vi propongo quindi un modo alternativo di celebrare questo sabba, tutto ispirato al colore.
Si tratta di un rituale pensato per una coven o comunque un gruppo di persone che lavorano insieme e condividono il loro percorso; l’effetto del rituale sarà quindi quello di creare e concretizzare uno strumento di gruppo, volto al benessere dei singoli considerati come parti di un tutto.
 
MATERIALE:
• Vernice liquida di vari colori, meglio se all’acqua o comunque atossica
• contenitori tipo barattoli o secchi
• acqua per diluire, se necessario
• un telo bianco
• supporti per fissarlo a parete
• una parete!
• un telo di plastica come protezione
 
SVOLGIMENTO
Prima di tutto allestiamo lo spazio: è meglio avere a disposizione un muro, anche in un giardino, per poter fissare il telo che andremo a dipingere, in modo che sia ben teso e non abbia pieghe. Tra il muro ed il telo in tessuto sarebbe consigliabile interporre un telo di plastica, in modo da non sporcare di vernice la parete che useremo come appoggio.
Apriamo la celebrazione come di consueto: purificazione dello spazio, creazione del cerchio, chiamata dei quarti. Invocazione alle divinità, anche semplicemente la Dea ed il giovane Dio cornuto.
Procediamo quindi con l’incanto vero e proprio: lo scopo è quello di concentrare e manifestare le energie vitali e festose tipiche di questo sabba. In un contenitore, mescoliamo acqua e un po’ di vernice (scegliendone la tonalità in base all’intento personale, quindi, ad esempio, blu per la serenità e la salute, arancione per l’allegria, giallo per l’ispirazione e la creatività - come dicevo, idee associate alle energie di questo sabba e rivolte al gruppo), quel tanto che basta perché il colore risulti carico e intenso. Su ogni secchio o addirittura dentro il liquido è possibile disegnare un’immagine che richiami e rafforzi l’intento, per esempio una o più rune (Wunjo per la gioia), uno smile, un simbolo planetario (Venere per l’amore e i divertimenti, Mercurio per i viaggi …).
Mettiamo tutti i secchi pieni al centro del cerchio e, prendendoci per mano (possibilmente) li carichiamo; solitamente ogni coven ha una tecnica preferita per questo passaggio, in caso contrario va benissimo girarvi attorno mentre si recita una frase adatta allo scopo o un canto di potere, per esempio:
“C’è un solo potere, Dio e Dea: perfetta verità, chiarezza e bene reciproco”, oppure la più tradizionale Runa delle Streghe.
Poi, a turno, ogni membro della coven prende un secchio e, concentrandosi sull’intento, ne lancia il contenuto contro il telo/parete, gridando nel contempo una parola chiave, come ad esempio: “gioia!”; si procede così fino a esaurimento; ovviamente ogni membro può esprimere più intenti.
Varianti nell’esecuzione pratica possono essere l’uso di palloncini (tipo gavettoni) al posto dei secchi, o anche le pistole ad acqua (riempite ovviamente di colore), o, per i più esperti, arco e frecce (si può in questo caso fissare un piccolo sacchetto con il colore sulla punta: visivamente, rappresenta ancora meglio il nostro intento -la freccia- che raggiunge l’obiettivo -il telo- e si manifesta -lo spargimento del colore).
Infine, seguiranno la libagione, il banchetto e la festa vera e propria. Ricordiamoci di ringraziare le divinità che abbiamo invocato, di congedare i quarti e di aprire il cerchio.
Il telo, una volta asciutto, potrà essere usato come “copertina” di coven durante gli incontri (per decorare l’altare ad esempio, o anche per coprire il pavimento, se si lavora scalzi) oppure, anche, essere custodito a turno da persone diverse: sarà un ottimo aiuto durante i periodi difficili e porterà tutta la luce e l’allegria di Beltane.
Benedizioni!

martedì 19 aprile 2016

La Purificazione - parte 3

1. La purificazione nel mondo greco-romano
Ritroviamo qui il tema della purificazione mediante intervento divino, e la includo in questa sezione solo per questo motivo; i miti greci sono pieni di riferimenti al fatto che gli Dei possano purificare gli uomini, o a purificazioni fatte in nome di quello o quell’altro dio. Spesso questa purificazione viene fatta in seguito a un crimine di qualche genere, si tratta quindi di un atto riparatore, allo scopo di proteggersi dalla collera vendicativa delle Erinni o della vittima stessa. Zeus in particolare dominava due settori importanti della vita: l’agricoltura e l’espiazione. Ma come avveniva quest’ultima? Sappiamo da Graves che «il metodo comunemente usato in Grecia per purificare chi si era macchiato di omicidio era sacrificare un maiale e, mentre l’ombra della vittima ne beveva avidamente il sangue, lavarsi in acqua corrente, radersi il capo per mutare il proprio aspetto e partire per l’esilio per un anno intero, in modo da far perdere le proprie tracce all’ombra assetata di vendetta. Finché l’omicida non si fosse così purificato, i vicini lo evitavano come iettatore e non gli permettevano di entrare nelle loro case e di consumare il loro cibo, per paura di essere coinvolti nelle sue sventure.»
Quindi da una parte c’è una sorta di sacrificio di “compensazione”, dall’altra un lavacro in acqua. L’uso dell’acqua per le purificazioni è una pratica comune a quasi tutti i popoli, principalmente a causa dell’associazione dell’acqua con la morte-rinascita, e con il concetto di pulizia. «L’immersione ha un profondo simbolismo. La purificazione per mezzo dell’acqua ha le stesse proprietà. (…) L’immersione equivale, sul piano umano, alla morte, e sul piano cosmico alla catastrofe (il diluvio) che scioglie periodicamente in mondo nell’oceano primordiale. Disintegrando ogni forma, abolendo ogni storia, le acque possiedono questa virtù di purificazione, di rigenerazione e di rinascita, perché quel che viene immerso in lei ‘muore’ e, uscendo dalle acque, è simile a un bambino senza peccati e senza ‘storia’.»
La mitologia greca ci parla di almeno due Dee che, mediante un bagno rituale, ogni anno restauravano la propria verginità: Afrodite ed Era. Anche le sacerdotesse di Venere ogni anno si immergevano nel mare e “ne riemergevano vergini”.
Nel libro delle opere e dei giorni Esiodo canta il rito dell’abluzione: nessuno osa offrire il vino a Giove o ad alcun altro degli immortali senza lavarsi prima le mani, altrimenti le sue preci non sarebbero ascoltate… Se il malvagio va al fiume senza lavarsi le mani, i numi si irritano contro di lui e gli suscitano contro i mali…
Era costume dei pagani mondare il corpo con le abluzioni nell’accingersi a sacrificare agli Dei superi. Ma per sacrifici in onore delle divinità infere era sufficiente l’aspersione, come leggiamo in Virgilio di Didone, nell’accingersi al rito in onore delle divinità inferiori: “Mia cara nutrice, pregate mia sorella Anna di affrettarsi a venire per aspergermi il corpo con l’acqua del fiume.” E nel passo in cui mostra Enea agl’inferi che porta il ramo d’oro a Proserpina, canta: “Enea occupa l’ingresso e s’asperge il corpo di acqua fresca”. E ancora, nel narrare del funerale di Miseno: “Lo stesso rispande tre volte l’acqua pura sui suoi compagni, aspergendoli d’una lieve rugiada con un fausto ramo d’olivo.”
Una purificazione che una volta tanto non coinvolge l’acqua ci è stata tramandata da Demostene; parlando di certi riti celebrati nell’Atene del IV secolo, dai fedeli di Sabazios, un dio tracio omologato a Dioniso, racconta che parte di questi rituali consisteva in una purificazione (catharmos) consistente nello sfregare gli iniziati con argilla e farina.
 
2.2 – La purificazione nell’antico Egitto
 Nell’antico Egitto, il sacerdozio richiedeva nel sacerdote chiamato a penetrare nel tempio determinate condizioni di purezza fisica. I templi egizi non erano aperti alle folle, erano luoghi in cui solo la casta sacerdotale poteva accedere, e le effigi sacre, nelle quali si credeva che gli Dei s’incarnassero – temporaneamente, ogni mattina – andavano sempre preservate con la massima cura e tenute lontane dalle impurità. Gli uomini che avevano accesso al tempio e vivere nelle vicinanze degli idoli dovevano rispondere a certe elementari condizioni di purezze fisica.
La parola stessa che designava la categoria più comune dei sacerdoti, purificati, ricorda le abluzioni iniziali che dovevano detergere gli officianti da ogni contaminazione: «Si lavano due volte ogni giorno con acqua fredda e due volte ogni notte.» (Erodoto, II, 37). Queste purificazioni si compivano nei luoghi sacri vicino ai templi: prima di prendere servizio al mattino, i sacerdoti scendevano sino all’acqua e si aspergevano copiosamente. Quando non c’erano laghi, ricorrevano a un bacino di pietra o a una vasca. Si lavavano anche la bocca, con un po’ di nàtron sciolto nell’acqua, in modo che, purificando la bocca, fossero purificate anche le parole che ne sarebbero uscite. Il simbolismo dell’acqua e dell’abluzione non ci è nuovo, abbiamo già visto come fosse importante praticamente per tutti i popoli.
Un altro dettame che accompagnava il sacerdozio era l’obbligo di rasarsi i peli del corpo, in primis i capelli, e secondo alcuni opinionisti dell’epoca, perfino le ciglia e le sopracciglia. La purezza esteriore, la semplice igiene, tanto apprezzata dai sacerdoti egizi, era vista come una manifestazione tangibile della purezza interiore.
Alcuni esempi di esigenze di rito (rito magico o rito religioso, è difficile distinguerli quando si parla degli Egizi) sono indicati come segue nel Libro della Vacca del Cielo, scritto in caratteri geroglifici nelle tombe reali del Nuovo Impero: «Se un uomo pronuncia questa formula per uso proprio, dev’essersi cosparso di oli e unguenti, deve avere in mano l’incensiere colmo d’incenso; deve avere dietro le orecchie natron di una certa qualità, mentre natron di una qualità diversa sarà nella sua bocca; dev’essersi vestito con due capi d’abbigliamento nuovi, dopo essersi lavato nell’acqua di una piena, aver calzato sandali bianchi e essersi dipinta sulla lingua, con inchiostro fresco, l’immagine della dea Maat [l’armonia universale].»
Altre precisazioni: «Si legga questa formula essendo puri e senza macchia, senz’aver mangiato carne di bestiame minuto né pesce, e senz’aver avuto rapporti con una donna.»
Quanto alla purificazione mediante fumigazioni, che riguardava probabilmente anche i luoghi, si sa che gli antichi egizi utilizzavano il ginepro fenicio per via delle sue proprietà purificanti, e bacche, rametti, legno e resina del ginepro erano fra gli ingredienti delle ricette del Kyphi – l’incenso egizio che veniva usato praticamente per tutto e in tutte le modalità.

2.3 – Popoli del Mediterraneo, del vicino Oriente e del medio OrienteA Creta si utilizzavano erbe come la salvia e la lavanda nelle fumigazioni per la purificazione. È massiccio l’uso dell’incenso in Arabia a scopi di purificazione su persone, luoghi chiusi (es. per purificare una casa in cui si andrà ad abitare) e anche su oggetti usati a scopo terapeutico, che riacquisteranno così l’energia originaria.
I musulmani ancora oggi devono lavarsi mani e piedi prima di entrare in una moschea (cosa che ricorda un po’ l’usanza cattolica di bagnarsi le dita nell’acquasantiera). Nell’antica Mesopotamia si utilizzavano sostanze aromatiche come incensi e fumigazioni, in particolare il cedro del Libano (il nome “Libano” deriverebbe dall’accadico lubbunu, “incenso”). Il legno e la resina di questo maestoso albero erano sostanze per fumigazioni di vasto impiego presso la civiltà mesopotamica. Il cedro del Libano, simbolo di forza, magia, energia vitale e immortalità, veniva utilizzato in innumerevoli occasioni: nei riti sacrificali e purificatori, durante le preghiere, a scopo terapeutico ecc.
È anche testimoniato l’uso del mirto, in particolare dell’olio di mirto, per l’unzione di sacerdoti e sacerdotesse del dio solare Shamash; a lui era attribuita questa pianta, simbolo di purezza e amore.
Per i Fenici, il rituale del sesso con le prostitute sacre (la pratica della ierodulia) era considerato un modo per connettersi al divino e quindi una forma di purificazione.
Per gli assiri, la protezione dei geni era di fondamentale importanza per contrastare l’attività negativa dei demoni; quando per qualche motivo l’azione protettiva dei geni veniva meno, i demoni avevano libertà d’azione. A questo punto doveva intervenire l’ashipu, cioè l’“esorcista-scongiuratore”, spesso coadiuvato da un clero minore composto da “purificatori” e “lamentatori”, che con le loro litanie aiutavano l’ashipu a scacciare le forze maligne. Questa non è una pratica, bensì una credenza: secondo la concezione iranica, le catastrofi hanno per scopo la purificazione del genere umano.
 
La purificazione nelle pratiche sciamanicheDa un libro molto interessante che analizza i vari sciamanismi del mondo, parlando dei punti in comune fra essi, ho tratto queste informazioni: «Prima di ogni seduta, bisognava però compiere una serie di ulteriori e specifici riti preparatori. Lo sciamano digiunava tutto il giorno, si lavava accuratamente, per esempio facendo un bagno turco, e generalmente si asteneva dai rapporti sessuali per non “disperdere energie”: questo tabù veniva motivato in questi termini dagli indiani dell’America meridionale. Inoltre bisognava purificare, per esempio con fumigazioni, l’ambiente nel quale si sarebbe svolta la seduta; gli Ostiachi (Hanty) della Siberia occidentale bruciavano a tal fine la corteccia di alberi resinosi.»
Esaminando poi il principale strumento degli sciamani di tutto il mondo, l’autore specifica anche che il tamburo oltre ad avere la nota funzione di indurre lo stato alterato di coscienza, serviva anche a chiamare a raccolta gli spiriti aiutanti, mentre “il rullo e lo scampanellio metallico degli oggetti che pendevano dal tamburo” scacciavano gli spiriti maligni. 
In Nord America, allo scopo di purificare la mente prima delle riunioni, delle celebrazioni, dei riti della capanna sudatoria o dei trattamenti terapeutici, veniva effettuata una semplice fumigazione cerimoniale: i partecipanti siedono in circolo attorno a un incensiere nel quale vengono bruciate erbe atte alla purificazione. Colui che guidava la cerimonia procede in senso orario di persona in persona e, ventilando con la penna, offre a ciascuno il fumo purificatore. Tenendo le mani appoggiate sul cuore ogni partecipante aspira il fumo e lo spinge dalla testa alle braccia e infine verso il suolo. La fumigazione ha lo scopo di purificare e rafforzare interiormente. L’incensiere viene poi spostato fuori dal cerchio, finché le erbe non siano spente. In questo modo il fumo e le sue energie eteree vengono donate anche al luogo in cui si svolge il rituale.
Si sa che i nativi americani facevano e fanno tuttora largo uso della salvia bianca nei rituali curativi, nella capanna sudatoria e in occasione di feste, per via del suo riconosciuto effetto purificatore; anche oggetti e luoghi vengono esposti ai suoi fumi. Per i rituali purificatori, si utilizzava anche una mescolanza di salvia, ginepro e gliceria (una pianta dall’effetto purificatore che è anche uno degli ingredienti delle miscele per le cerimonie della Sacra Pipa).
Molto importante è anche l’artemisia tridentata: oltre ad essere associata al coyote, l’artemisia tridentata ha una grande utilità, perché protegge dagli influssi delle forze maligne e dalle energie negative. La sua azione purificatrice ha effetto sul corpo, sullo spirito e sui luoghi. Il fondo della capanna sudatoria viene spesso cosparso di artemisia.

Nikker

martedì 12 aprile 2016

Purificazione - Parte 2

La purificazione è strettamente legata alla guarigione. La guarigione è imprescindibile da una purificazionein primo luogo fisica; la pulizia del corpo è indispensabile per una corretta igiene che da sola previene un gran numero di malattie; quando si riporta una ferita, la prima cosa da fare è pulirla e rimuovere corpi estranei; e quando si deve provvedere alla cura di un malato sarebbe bene che il luogo in cui risiede fosse il più possibile pulito o addirittura sterile. Ma al di la di queste considerazioni ovvie, alcuni approcci alla guarigione contemplano anche altri tipi di purificazione, non fisica, sottile. Sul libro “Ipotesi sulla guarigione” di Davide Melzi un capitolo è dedicato a “La purificazione dalle lebbre del Sole e della Luna”, e in questo brano purificazione e guarigione sono intese come così strettamente connessa che spesso la prima, da sola, implica la seconda (il testo è degno di nota anche perché tratta i temi della purificazione con l’acqua e con il fuoco):
«Simbolicamente l'acqua lava e purifica uno stato caotico ed impuro, rimuove la negatività e la malattia. In tutte le tradizioni c'erano riti che contemplavano l'uso di un'acqua “sacra”, perché al significato profano il rito sovrapponeva un significato profondo; ci si potrebbe riferire alle aspersioni di acqua “benedetta” che erano diffuse in tutte le religioni orientali od occidentali. Il versare acqua su un essere vivente o su un oggetto avrebbe avuto anche il valore di una rigenerazione, di un conferimento di potere. Detto per inciso, bisogna considerare che la purificazione della parte sottile non sempre coincide con la pulizia esteriore del corpo, specie nel senso in cui quest'ultima è intesa e ricercata dagli uomini e dalle donne moderne. Si potrebbe anzi dire che i moderni, probabilmente per una forma di disgusto verso tutto ciò che è fisico e fisiologico - disgusto che è tanto più sorprendente dato che è proprio sul piano materiale che sembrano vertere tutti i loro interessi - cercano con ogni mezzo di cancellare la propria stessa corporeità, per giungere ad una specie di asetticità fisica; la quale peraltro è tipica non degli esseri viventi, ma degli oggetti inanimati, specie di quelli prodotti industrialmente, come la plastica. (…)
D'altra parte sarebbe forse il caso di precisare, per evitare equivoci, che la “pulizia” interiore alla quale ci si riferisce non sarebbe certo riconducibile nemmeno alla sfera della morale - almeno così come essa è oggigiorno intesa - bensì è uno stato di bellezza, di armonia e di sintonia con la propria parte profonda, che potrebbe anche benissimo esprimersi con atti e comportamenti i quali non sarebbero per niente apprezzati dai moralisti e dai benpensanti. (…)
Nella storia antica si trova traccia di luoghi naturali, cioè fonti, fiumi o altri corsi d'acqua, che avrebbero posseduto speciali poteri di guarigione, dei quali poteva beneficiare chi si fosse bagnato o immerso nelle acque sacre.
Si potrebbe intuire che la Fonte era simbolo del punto metafisico da cui scaturisce la manifestazione
dell'energia fluidica cosmica, e l'essersi posto in relazione con essa sarebbe stata anche la giustificazione di qualsiasi tipo di autorità; quindi sia il Re sacrale, sia il mago, sia il guaritore, per ottenere ed esercitare legittimamente il loro potere, avrebbero dovuto mettersi in contatto con l'Acqua spirituale. Con ogni probabilità si può supporre che in epoche più antiche il contatto con le acque sacre fosse consentito solo a determinate condizioni ed a determinati individui. (…)
(…) la stessa religione cristiana avrebbe adottato nei suoi riti e nelle sue usanze, nonostante la sua pretesa di assoluta novità riguardo alle tradizioni precedenti, parecchi elementi rituali di tipo arcaico. Relativamente al valore simbolico dell'acqua, ci si potrebbe riferire al sacramento del battesimo; esso non casualmente veniva ritenuto efficace per lavare il 'peccato', ovvero la traduzione in chiave exoterica e moderna della negatività e della disarmonia. E quando l'ortodossia dogmatica si trasforma, presso il popolo, in un insieme di concezioni prevalentemente superstiziose, come è avvenuto ad esempio nel sud dell'Italia, anche i riti cattolici verrebbero interpretati in senso “magico”, o per meglio dire “stregonico”, e per esempio il battesimo viene considerato garanzia contro il “malocchio”, la “fascinatura” e l’ “attaccamento”. Anche in un ambito ben diverso, quello della tradizione ermetica, il simbolismo del lavaggio dei vari elementi, “metalli” o composti alchemici aveva un'importanza fondamentale. Alcune massime di questa tradizione suonavano nel seguente modo: “Vade ad mulierem lavantem pannos, tu fac similiter” (Vai dalla Donna che lava i panni, e mettiti a fare lo stesso); “Aes philosophorum hydropicum est, et vult lavari septies in fluvio, ut Naaman leprosus in Jordane” (Il bronzo filosofico è idropico, e deve essere lavato sette volte, come Naaman il lebbroso nel fiume Giordano).
Si farebbe dunque riferimento ad un'opera faticosa, intensa e costante di lavaggio e di purificazione, che probabilmente dovrebbe essere compiuta molto più a livello interiore che esteriore, e che potrebbe forse avere il fine di distillare e di portare alla luce l'essenza più profonda di ogni componente dell'essere umano, al fine di guarire da uno stato di impurità paragonato significativamente ad una lebbra, cioè ad un morbo che consuma e corrode.
(…)
Però l'acqua non sarebbe l'unica sostanza in grado di operare una “purificazione”; quest'ultima parola,
quanto alla sua origine etimologica, deriverebbe infatti proprio dal greco Pyr, che significava “fuoco”.
Dunque, oltre ad un'acqua purificatrice, dovrebbe esistere anche un fuoco purificatore, ed anzi si potrebbe giungere ad affermare che per purificare certe cose servirebbe l'acqua, per altre sarebbe necessario il fuoco.
La purificazione col fuoco, come si può ben intuire, sarebbe inscindibile da un aspetto di distruzione ed annichilimento di ciò che c'era prima. Si potrebbe dire che, mentre l'acqua purificatrice avrebbe caratteristiche analogicamente femminili, il fuoco come elemento purificatore potrebbe avere caratteristiche analogicamente maschili e “guerriere”, e dovrebbe quindi servire per riequilibrare situazioni in cui vi fosse un eccesso abnorme di quello che si può definire “femminile impuro”, o “Acqua impura”.
Si tratterebbe plausibilmente di disarmonie che apparterrebbero ad una sfera di “lunarità” caotica e pericolosa.
Infatti nella mitologia universale il femminile, oltre che essere legato a valori di dolcezza, di bellezza, di serenità, di nobiltà, di positività, di armonia, possederebbe anche un lato pericoloso, deviatore, abissale, da cui sarebbe probabilmente necessario guardarsi e proteggersi, sia da parte di individui di sesso femminile - forse al fine, nel loro caso, di effettuare una presa di contatto e di controllo di una dimensione ad esse intrinseca ed essenziale - sia da parte di individui di sesso maschile. (…)
L'Acqua impura, più che una caratteristica che vada assegnata ad esseri di sesso femminile, sarebbe una particolare manifestazione della negatività, ovvero quel modo d'essere disarmonico che si esprimerebbe in forma indiretta, attrattiva, subdola, penetrante, viscida, vischiosa.
Il Fuoco impuro, invece, sarebbe legato ad un attacco che cerca di stroncare, di abbattere, di travolgere le difese dell'individuo, confrontando in modo diretto forza con forza. Esso corrisponderebbe ad un modo disarmonico di manifestarsi di alcune caratteristiche definibili come maschili; sue manifestazioni sul piano caratteriale sarebbero ira, egoismo, violenza, aggressività, volontà di potere personale, di sopraffazione e di distruzione.
Tutte questi stati d'essere farebbero in qualche modo riferimento ad una sorta di “irrigidimento” dell'individuo nei confronti di ciò che lo circonda, laddove invece le manifestazioni dell'Acqua impura si manifesterebbero come un eccessivo “rilasciamento” ed “abbandono”.
È inutile dire che anche il Maschile impuro potrebbe essere una caratteristica tanto di uomini quanto di donne, e che anche relativamente ad esso sia necessaria la massima attenzione, al fine di evitare di
esserne preda.
Così come l'acqua “sacra” avrebbe avuto il potere di “pulire” l'individuo dalle negatività, tutte le sostanze legate in senso analogico alla sfera del maschile avrebbero la valenza di purificare nel segno del fuoco, proprio perché potrebbero riequilibrare una “lunarità” caotica e troppo accentuata.
Tradizionalmente una di tali sostanze è lo zolfo, il quale infatti era utilizzato per depurare gli ambienti
dalle influenze fluidiche ostili.
Dell'aglio, che contiene molto zolfo, si diceva che tenesse lontano i vampiri, ed anticamente si sosteneva che i demoni oscuri sarebbero stati impauriti e scacciati dalle lame di ferro od acciaio.
Esisteva inoltre un rito universalmente diffuso che sintetizzava, per così dire, i due tipi di purificazione: il bagno di sudore. Esso infatti utilizzava sia il fuoco, che dava il suo calore, sia l'acqua, che si trasformava in vapore. Col sudore il corpo espelle tutte le sue impurità - cosa che non si può ottenere con un semplice lavaggio “freddo” - ma anche l'Anima si libererebbe, secondo un nesso analogico, di tutto ciò che la appesantisce.
Tali usanze erano diffuse su scala mondiale: se ne conosce l'impiego presso gli Sciti, le genti scandinave (presso cui è ancora oggi diffusissima la sauna), le etnie di ceppo turco, i Caucasici e gli asiatici in generale, i Nativi americani (con le loro tecniche rituali relative alla 'capanna del sudore') e molte altre genti.»
E dopo questa dissertazione trans-culturale, che serviva più che altro a spiegare il punto e ad accennare qualcosa sulle valenze purificatorie di acqua e fuoco, elenco alcune pratiche che ho trovato circa l’utilizzo della magia in medicina; vorrei dire “purificazione”, ma come vedrete si tratta più spesso di esorcismo.
Perché, come affermato in “La medicina dei celti”,
«Tutta la medicina naturale è in sé stessa un esorcismo. (…) La medicina è un’attività magica. Una nozione, che ritroveremo anche in Berry o in Mayenne, dove maghi e guaritori sono al servizio di una
popolazione rurale e cittadina, è che la vera medicina è un’azione magica (…). Il comune denominatore tra un guaritore contemporaneo e uno sciamano è la pratica dell’esorcismo, cioè l’espulsione per mezzo di piante, di formule o di ipnotizzazioni, di un corpo dannoso ed estraneo. Malattia o demone (…), sono cambiati solo i termini, secondo i tempi e le culture.»

1.1 – La medicina nell’antica Mesopotamia
L’origine della malattia nell’antica Mesopotamia era soggetta a un’interpretazione strettamente magicoreligiosa.
Si credeva che ogni individuo fosse protetto da un dio e da una schiera di spiriti benefici, quindi l’avvento di una malattia implicava che l’individuo dovesse aver fatto qualcosa che costituisse peccato o infrazione, e che così facendo avesse irritato il suo dio protettore, che di conseguenza aveva abbandonato l’umano alla mercé dei demoni malvagi. Il malato era quindi sempre visto come un peccatore, e il primo compito di un guaritore era indovinare la colpa che stava alla base di ogni malattia. Per fare questo si ricorreva a pratiche divinatorie. Una volta individuata l’origine della malattia e raccolti i presagi sul suo decorso, il medico o l’esorcista dovevano affrontare il problema dell’allontanamento dell’essenza malefica che si era impossessata del malato. Questo compito era realizzato mediante una serie di pratiche magiche, incantesimi ed esorcismi. Si recitavano formule segrete, specifiche per ogni malattia, e s’invocava il nome segreto degli dèi. Con grande frequenza era impiegato il fuoco a scopo purificatore e di minaccia contro i demoni, che venivano spesso bruciati in effige. Anche l’acqua aveva un suo significato simbolico connesso al concetto di purificazione e contrapposto alla malattia intesa come sporcizia. Non era raro l’uso di fumigazioni e cataplasmi, sempre con intenti magici diretti a scacciare lo spirito malvagio dal corpo dell’ammalato. L’usanza più curiosa e ripugnante era quella di far ingerire al malato sostanze sgradevoli e disgustose, allo scopo di nauseare il demone e convincerlo ad andarsene.
Due o tre cose saltano all’occhio: qui troviamo elementi e credenze che riscontriamo ancora ai giorni nostri, come l’utilizzo del fuoco (sebbene il suo modo d’agire sia controverso), dell’acqua e delle fumigazioni. Anche l’usanza di cercare di “ripugnare” il demone non è scomparsa con i mesopotamici: era ancora una credenza diffusa in epoca cristiana che fosse meglio evitare di lavarsi perché si pensava che la puzza disgustasse e tenesse lontani i demoni.

1.2 – La medicina nell’antico Egitto
Nell’Egitto faraonico, medicina e magia procedevano di pari passo. Poiché incantesimi ed esorcismi erano costituiti in gran parte da invocazioni rivolte alle divinità e poiché mansioni mediche erano svolte anche dai  sacerdoti, alcuni definiscono la medicina egizia non magica, ma religiosa. La distinzione è tanto sottile da essere quasi inconsistente. L’esorcismo praticato dal medico egizio non era una generica invocazione alla divinità per impetrare da essa la guarigione, ma una formula a netto carattere magico, che aveva valore di per sé stessa.
La forma più semplice dell’invocazione o carme magico, era quella in cui ci si rivolgeva alla divinità, al defunto o alla malattia che aveva provocato il male, invitandoli con blandizie o con minacce ad abbandonare l’individuo colpito. Esistono testi contenenti frasi semplici e ingenue e brani dotati di suggestiva e poetica potenza. È un interessante esempio di esorcismo mediante la parola.
Anche per quanto riguarda la chirurgia, ritroviamo credenze magico-religiose: gli egizi praticavano la trapanazione del cranio da tempi antichissimi, dapprima su animali e poi anche su persone, ed era più probabile che lo facessero perché spinti da una concezione magica che li portava a far uscire dalla testa del malato il demone responsabile della malattia, piuttosto che da considerazioni fisiopatologiche allora impossibili.
Va detto però che la medicina in Egitto non si limitava al suo carattere magico-religioso, ma comprendeva anche una parte di diagnostica rigorosa e di cure basate su una ricchissima farmacopea e altri metodi empirici.

1.3 – La medicina vedica

La medicina all’epoca della costituzione della civiltà indo-ariana fu essenzialmente magico-religiosa. Anzi, possiamo affermare che essa fu in un primo tempo prevalentemente religiosa e in un secondo tempo prevalentemente magica.
La prima fase ci è testimoniata soprattutto dal Rigveda, il più antico dei testi vedici, che consta in 1028 inni. L’argomento dell’opera è principalmente costituito da invocazioni e preghiere. Per quanto riguarda la medicina, si può constatare come essa si basasse più che altro su invocazioni rivolte agli dèi per impetrare da essi la guarigione delle malattie.
Se facciamo un confronto fra il testo del Rigveda e quello dell’Atharvaveda, cronologicamente posteriore, notiamo come dalle preghiere agli sèi si passi agli incantesimi e agli scongiuri che hanno valore per sé stessi. La concezione della malattia è nell’Atharvaveda nettamente demonologica, impostata sulla considerazione dello stato morboso come provocato da un demone o addirittura sull’identificazione fra il demone e la malattia. Le pratiche magiche a scopo terapeutico si basavano sulla recitazione di invocazioni invitanti il demone-malattia ad abbandonare l’organismo colpito, oltre che su altri rimedi legati all’ingestione di erbe e sostanze che si riteneva avessero proprietà magiche. L’uso dell’acqua era molto diffuso nella medicina vedica e ciò sembra ricollegarsi a tradizioni più antiche, perfino pre-ariane. Il ruolo delle acque era importate anche dal punto di vista cosmico, essendo attribuita ad esse la qualità di elemento primordiale, matrice di tutte le cose.
Si credeva che l’acqua avesse anche doti purificatrici e se ne faceva quindi uso mediante lavacri ed abluzioni come rimedio anti-demoniaco.
Ancora una volta vediamo la funzione purificatrice dell’acqua, la concezione di malattia come demonemalattia, e l’esorcismo, concettualmente non troppo distante dalla purificazione e usato in concomitanza con essa.

1.4 – La medicina greco-romana
È molto curioso che la prima fonte in cui mi sia imbattuta che parlava di una forma di medicina grecoromana fosse un libro sulla divinazione greco-romana. Più precisamente, la voce:
«Iatromanzia: è il metodo basato sull’esercizio dell’arte di guarigione e coincide con la purificazione dei malati su basi animistico-demoniche. Intende eliminare la causa primordiale dell’infermità, individuata secondo la concezione più antica, difficilmente invalidata dalla religione olimpica, nella contaminazione (míasma). La iatromanzia non implica necessariamente la prescrizione di una terapeutica precisa, ma prevede la rivelazione della causa dell’ira della divinità, come insegna in modo esemplare la storia di Edipo. (…)»
È una concezione che a prima vista ricorda quella dei popoli mesopotamici – o almeno, sono elementi in comune l’ira di una divinità, la base animistico-demonica e la necessità di una pratica divinatoria.
Purtroppo il libro non spiega come avvenisse poi la purificazione, dice solo che una volta individuata la divinità astrale responsabile della malattia, il medico sceglierà di conseguenza i farmaci per attirarne la benevolenza. Non so se si tratti di un caso di purificazione per intervento divino (cosa che comunque era comune per i greci, come vedremo nel prossimo capitolo) o se anche le medicine si supponeva concorressero nella purificazione.

1.5 – La medicina tribale e la prevenzione delle malattie

Riunisco sotto questo lapidario titolo ciò che ho raccolto su realtà religiose molto piccole, anche geograficamente, o su cui ci sono pochi studi. C’è poco da dire, se non fare una sequela di esempi, molti dei quali riportano pratiche che hanno dei tratti in comune. Sembrerà un elenco, ma mi è difficile fare diversamente.
- L’Erba Santa, una pianta che cresce nelle regioni montuose dell’Arizona, del Nuovo Messico, del Messico e della California, era molto importante per i nativi di quei luoghi perché si diceva neutralizzasse gli influssi negativi e gli spiriti maligni: per queste ragioni era bruciata nei rituali curativi e nei luoghi di degenza, e viene tuttora custodita nel sacchetto delle medicine
- In alcune isole della Melanesia esistono medici del tipo degli sciamani, specializzati nella comunicazione con gli spiriti, che essi scacciano dal corpo dei malati.
- Gli sciamani ciukci (Siberia nord-orientale) usavano il mazzuolo (uno strumento rituale comune a molti sciamanismi) per scacciare gli spiriti delle malattie, colpendo con esso le parti malate del corpo del paziente.
- Fra gli aborigeni australiani esistono persone che sono medici-sciamani di professione, e praticano una forma di medicina magica, fra le cui pratiche è citata quella di “succhiar fuori dal malato un cristallo o una pietra immaginaria”. Una pratica molto simile è stata riportata fra gli sciamani yahgan (Terra del Fuoco, Sud America) e fra gli indigeni della California (dove la pratica è succhiar fuori il dolore – inteso come malattia). “Succhiar fuori” la malattia è una pratica comune a molti sciamanismi, e come si diceva all’inizio del capitolo, la rimozione di un elemento di disturbo (fisico o metafisico) è un tratto che accomuna lo sciamanesimo alla medicina anche moderna, e che ricorre anche nelle pratiche di esorcismo e purificazione. Nulla fa supporre però che questa pratica tribale sia, o sia accompagnata da, una purificazione.
- Frazer, ne “Il ramo d’oro”, racconta come fosse costumanza degli indiani Apalai (Sud America) farsi mordere sul viso e sul corpo dalle formiche nere, per far si che il pizzicore allontani i demoni della malattia aggrappati al loro corpo; allo stesso scopo in Amboyna e nell’Uliase (Indonesia) si cospargeva il corpo dei malati con spezie piccanti, come zenzero e chiodi di garofano. E ancora: «Sulla Costa degli Schiavi, se un bimbo si ammala la madre pensa che uno spirito maligno si sia impadronito del corpo e, per scacciarlo, gli pratica numerosi taglietti e, nelle piccole ferite, mette pepe verde o spezie così da procurare dolore allo spirito maligno, costringendolo ad andarsene.»
Una credenza comune ad alcuni popoli africani è quella secondo cui un uomo che abbia fatto un viaggio possa aver contratto, magicamente, qualche male dagli stranieri che ha frequentato (anche se è andato solo in un territorio contiguo). Quindi, quando torna a casa, prima di venire nuovamente accolto dalla sua tribù, deve sottoporsi a cerimonie di purificazione.
- I Bechuana (Batswana, popolo dell’Africa meridionale) «dopo un viaggio si puliscono, o purificano, rasandosi, fra l’altro, il capo, nel timore di aver contratto qualche male grazie a un incantesimo o a una stregoneria ad opera degli stranieri.»
- E: «In alcune zone dell’Africa occidentale, quando un uomo fa ritorno a casa dopo una lunga assenza, non può recarsi dalla moglie se prima non si è lavato con un liquido particolare e lo stregone non gli ha tracciato un segno sulla fronte, per annullare qualsiasi sortilegio eventualmente operato contro di lui da una donna straniera dopo la sua partenza e che, per suo tramite, potrebbe trasmettersi alle donne del villaggio.»




Nikker

lunedì 4 aprile 2016

Purificazione - Parte 1

Per cominciare da una definizione generale, su cui credo che nessuna Tradizione avrebbe da obiettare, si potrebbe descrivere la “purezza” come uno stato ideale dell’Uomo (e dell’ambiente in cui vive, e delle cose con cui viene a contatto, ma questi ultimi due aspetti alla fine servono solo a non intaccare la purezza dell’Uomo, no? Proprio come non avrebbe senso curare maniacalmente la propria pulizia personale e poi vivere nella sozzura). Non è che abbiamo detto molto, però. Che cos’è la “purezza”? Su quali criteri si giudica se una persona, o una cosa, o un luogo, siano puri o no? !
Diverse culture, filosofie e religioni hanno dato diverse risposte a questo quesito. Non solo diverse culture geograficamente distinte (sarebbe troppo bello e troppo facile!), ma anche diverse culture storicamente consequenziali, che si sono sovrascritte a vicenda fino a formare – anche – quel guazzabuglio di cultura in cui viviamo oggi. Risposte distinte, ma con talvolta notevoli punti di contatto. Basti pensare a come usiamo il termine “puro” nella nostra lingua: un’espressione come “puro di cuore” indica che la purezza sia legata all’etica, mentre un utilizzo del termine sulla falsariga di “puramente intellettuale” o “puramente ludico” o “puramente malvagio” indicano la purezza non come un valore di tipo etico ma come sinonimo di “genuino” o “senza contaminazioni esterne”. Insomma la purezza come “non-contaminazione” o “unicità”: di intenzioni, di pensiero, perfino di materiale (“è puro cotone”); addirittura, la purezza è stata vista come un fattore genetico (la “razza pura”; definizione che fa orrore se si parla di esseri umani, ma che è usata con meno remore quando si parla di animali; un cane o un gatto possono essere di “razza pura”).
La purezza è legata anche alla salute. In alcune religioni che impongono delle limitazioni alimentari, si fa distinzione fra cibi “puri” e cibi “impuri”, probabilmente a causa degli effetti che potevano avere sugli esseri umani nelle condizioni igieniche in cui quei cibi potevano essere reperiti nel tempo e nel luogo in cui le regole sono state stabilite. Alcune religioni e correnti spirituali prevedono una dieta vegetariana, perché la carne in generale è considerata “impura” (laddove non sia a causa di un divieto di uccidere animali), e per lo stesso motivo alcune persone si astengono dal mangiarla per certi periodi per “purificarsi”, ma in questo caso, dal momento che alcune di queste pratiche sono anche recenti, pare si tratti di una questione energetica, oltre che salutare. A volte per lo stesso motivo è praticato il digiuno integrale o quasi, per limitati periodi di tempo (alcuni lo fanno prima di praticare magia).
In ultimo, la purezza può essere ricondotta a un rapporto privilegiato con una divinità; per esempio, nella Bibbia ci sono riferimenti ai “puri” dove per “puri” s’intende persone dalla fede sincera (Tito 1:15: “Tutto è puro per quelli che sono puri; ma per i contaminati e gli increduli niente è puro; anzi, sia la loro mente sia la loro coscienza sono impure. 16: Professano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, essendo abominevoli e ribelli, incapaci di qualsiasi opera buona.” Come si può vedere, non solo la fede è veicolo per la purezza, ma è anche conditio sine qua non per essere puri; i puri vengono contrapposti ai “contaminati” e agli “increduli”, per i quali “niente è puro”). Questo ultimo aspetto della “purezza” nel cristianesimo è legato a doppio filo al primo significato di purezza che ho citato, la purezza come valore etico (“incapaci di qualsiasi opera buona”). Anche Agrippa von Nettesheim esprime un concetto simile nel suo Compendio di Magia: «Ora noi non possiamo, secondo l’opinione di Ermete, ottenere la fermezza e il vigore della mente che dalla purezza della vita, dalla pietà e dalla religione sacra, la quale purifica per eccellenza la mente e la rende divina.»
 
Ora che abbiamo stabilito a grandi linee cosa sia la purezza, o magari abbiamo solo confuso le acque ancora di più, passiamo a qualche esempio concreto: esaminiamo il concetto di “purificazione”.
Purificazione significa, si potrebbe dire semplicemente, ri-portare una persona (o un luogo, o un oggetto, o una situazione), a una precedente o ideale condizione di purezza, rimuovendo ciò che ha “contaminato” la persona a livello fisico, etico, energetico ecc. a seconda del contesto.
Voglio riprendere i precedenti concetti di “purezza” e tracciare uno schizzo di come, a grandi linee, si recupera o si guadagna la purezza in ciascuno di quei ! contesti.
1. La purezza etica, non sempre e non secondo tutti è recuperabile. L’“innocenza”, una volta perduta, è perduta. Ma stiamo parlando del sesso degli angeli, visto che ognuno può legittimamente avere la propria idea di cosa sia “il bene”, “la giustizia”, “l’innocenza” e quindi “la purezza in senso etico”. Io personalmente rigetto del tutto il concetto di purezza etica, una cosa simile a mio avviso non esiste, è troppo suscettibile della cultura a cui si fa riferimento e non è compatibile con la vita reale in ogni caso. Ma poniamo l’esempio di sistemi di pensiero che veicolino con insistenza il concetto di purezza etica; l’esempio più semplice che abbiamo tutti sotto gli occhi è il cristianesimo, che stila determinate regole da non violare, la cui violazione è non solo un allontanamento dal loro dio ma anche un’infrazione alla morale (che, immagino, per molti coincida con l’etica, o meglio, l’etica personale non è contemplata). Si rimedia a questa caduta dalla purezza grazie al pentimento, nel cattolicesimo grazie alla confessione, nei bei tempi andati anche con un’ammenda o un’espiazione (l’introduzione dell’idea che il dolore sia un mezzo per guadagnare la salvezza lo dobbiamo perlopiù al Cristianesimo, almeno in questa parte del mondo); così il recupero della purezza arriva – in teoria – grazie a questo iter di penitenza e grazie al consenso della divinità. In ogni caso avviene una vera e propria “rimozione del peccato”, il che ci ricollega al punto seguente:
2. La purezza in quanto non-contaminazione, si recupera rimuovendo l’elemento di contaminazione, dove questo è possibile (un gatto mezzo siamese non potrà mai diventare un siamese puro, mi pare ovvio; anche se nel secolo scorso si è cercato di trasporre il concetto di “purificazione della razza” su scala sociale, e sappiamo tutti com’è andata). In caso analogo ma non troppo, la purezza si recupera rimuovendo oppure compensando l’elemento che ha portato disequilibrio dove prima c’era equilibrio. Si potrebbe dire che la medicina occidentale si basi sull’idea di rimuovere la contaminazione, e che alcune tradizioni di medicina non convenzionale si basino sul concetto di riportare l’equilibrio, ma sono generalizzazioni eccessive. La purificazione di luoghi o di oggetti dalle energie residue indesiderate, funziona allo stesso modo; è una rimozione di un elemento indesiderato. Lo è anche l’esorcismo.
3. La purezza “energetica”, e qui nello specifico parlo di una purificazione che parte agendo sul corpo e non sulla mente o sullo spirito, si ottiene modificando il proprio stile di vita in modo da purificarsi, un po’ per volta, trovando e aggiustando il proprio equilibrio; non è un tipo di purificazione rapida tipo “passata d’incenso”. La purificazione (anche) energetica del corpo ormai è riconosciuta da molti come uno degli aspetti del benessere fisico. È diversa dalla purificazione che si svolge prima di un rituale, per fare un esempio familiare a tutti noi: quel tipo di purificazione, simile a quella citata nel punto 2, rimuove i pensieri deleteri, le preoccupazioni, le energie negative accumulate di recente, ci dispone ad entrare in un diverso stato mentale e spirituale, ma non direi che ci cambi radicalmente. La purificazione energetica del corpo, questa di cui parlo nel punto 3, è una cosa che si sente molto in contesto oriental-olistico-newagizzante, perché come dicevo la nostra cultura è un calderone incasinatissimo, ma qualcosa di valido, in questo, ci sarà. Un particolare è degno di nota; a volte la sensazione di essere puri o impuri secondo questo criterio può dipendere anche da motivazioni etiche, ad esempio io credo che nel caso di una scelta vegetariana o vegana “l’idea di mangiare animali morti” concorra a far sentire “impuri” tanto quanto la percezione (reale o immaginaria) delle proprie energie. Come vedremo più avanti, l’idea di purificazione del corpo e dello spirito mediante una occidentale; nella magia cerimoniale per esempio la purificazione pre-rituale inizia anche giorni prima della pratica magica, e contempla il divieto di lasciarsi andare ad eccessi e ad atti carnali.
4. Ora, la purificazione che procede dalla divinità (o da spiriti o entità intermediarie). Un tema non facile da affrontare visto che in questa modalità la purificazione non viene effettuata solo con l’ausilio di strumenti o processi che l’Uomo capisce e gestisce, ma è richiesto e a volte dato per scontato un intervento esterno. Ho trovato molte tracce di invocazioni a divinità perché purifichino questo o quello, e anche nella purificazione wiccan con acqua e sale, la formula vuole sempre un “ti purifico” (e/o “ti consacro”) nei nomi di un dio e una dea. Ma la Wicca non è certo l’unico esempio, più avanti ne vedremo altri.
 
Purificazione ed esorcismo
Due parole su un tema che può creare confusione: dove si situa la linea di demarcazione fra una purificazione e un esorcismo?
Nel libro “La casa magica” ho trovato una risposta lapidaria: «Un rito di purificazione non è però un esorcismo: non scaccerà via da un luogo spiriti cattivi. Allo stesso modo, sebbene le purificazioni hanno di solito successo, non costituiscono una difesa contro energie negative dirette intenzionalmente contro di noi.»
È un concetto che in generale mi sento di condividere, sebbene sostanzialmente purificazione ed esorcismo vengano operati con il medesimo scopo – rimuovere un agente di disturbo. L’esorcismo probabilmente è quello a cui si ricorre quando ci si accorge che una purificazione “semplice” non è stata sufficiente; quando si pensa che vi sia dietro un’intenzionalità maligna, o quando per qualsiasi motivo la purificazione non è abbastanza. Io non sono però altrettanto sicura di dove porre la linea di demarcazione fra purificazione ed esorcismo, nei risultati, perché talvolta differiscono nei metodi.
Una purificazione non costituisce una difesa contro energie negative dirette contro di noi volontariamente, ma se vi sono dirette involontariamente? La purificazione non scaccia da un luogo gli spiriti cattivi, ma può dissipare accumuli di energia negativa, e cosa pensare delle larve? Sono entità più simili a spiriti o a semplici accumuli? Sono almeno semicoscienti? E soprattutto, una purificazione basta a scacciarle? E quando un luogo (o una persona) sono semplicemente troppo pregni di schifezze, non è mai successo che una purificazione non fosse abbastanza forte da ripulire tutto? E cosa dire dell’esorcismo? Nella Clavicola di Salomone è scritto, per esempio: «L’esorcismo (…) serve a liberare uno strumento o una sostanza da eventuali influssi negativi, prima della consacrazione.» Insomma un concetto del tutto affine a quello che oggi chiamiamo “purificazione”, che basandoci su questa breve definizione non richiama necessariamente a spiriti cattivi o entità, ma solo a “influssi negativi”.
Una pratica comune a quasi tutte, se non tutte, le tradizioni della Wicca, è la purificazione dei partecipanti a un rituale e dello Spazio Sacro, mediante l’aspersione di acqua e sale. L’acqua viene prima “esorcizzata” e il sale “benedetto”. L’acqua viene esorcizzata da (parole variabili) “le impurità e le negatività degli spiriti del mondo dei fantasmi”, e questa azione che rimuove impurità e negatività non è dissimile, secondo me, da una purificazione. Anzi, a livello concettuale, l’esorcismo è una forma di purificazione. A causa anche della cultura cinematografica siamo abituati a pensare all’esorcismo come a un’azione magico-religiosa mirata a scacciare un’entità che ha preso possesso di un corpo (la famosa “possessione”), il quale reca sintomi teatrali come un improvviso cambio di personalità, la testa che gira di 180 gradi, vomito verde, desideri assassini ecc. Ma pensare questo sarebbe limitativo; l’esorcismo su persone è stato praticato in ogni epoca e anche per scopi meno assoluti della battaglia tra il bene e il male: è stato praticato spesso e volentieri a scopi medici, per scacciare il demone-malattia. Questi casi, ho ritenuto interessante citarli nel prossimo capitolo, stia poi a voi decidere se c’entrino con la purificazione personale o se sia qualcosa di troppo diverso.

Nikker