Il nome Mesopotamia (terra tra i due fiumi) si riferisce alla regione geografica situata tra il Tigri e l’Eufrate. Data la combinazione tra l’estrema fertilità del terreno e la necessità di una struttura ben organizzata per far fronte alle piene dei fiumi, non sembra un caso che le prime forme di civiltà si siano sviluppate qui.
Per primi ricordiamo i Sumeri, già nel 3500 a.C. circa, i quali inventarono anche il sistema di scrittura cuneiforme, rimasto poi in uso per oltre 2000 anni presso le popolazioni successive, come per esempio gli Accadi e gli Assiro-Babilonesi (2000-539 a.C.).
La maggior parte delle informazioni riguardo la magia nel mondo mesopotamico ci viene da iscrizioni in cuneiforme su tavolette d’argilla. Le fonti scritte più numerose ed interessanti sono istruzioni rituali, prescrizioni ed incantesimi che venivano registrati e copiati da ritualisti o altri scribi per le proprie biblioteche personali o per quelle di corte. Una famosa biblioteca, ricca di tavolette magiche, è quella di Assurbanipal, l’ultimo grande re d’Assiria, sita nel suo palazzo di Ninive.
Gli incantesimi venivano trasmessi per iscritto ad opera di professionisti quali l’āšipu, la cui educazione lo rendeva capace di consultare e copiare i testi. Questi ultimi potevano essere conservati singolarmente, raccolti in compendi o, soprattutto dalla seconda metà del secondo millennio, in composizioni molto più ampie, composte da più tavolette, e comprendenti varie indicazioni per lo svolgimento del rituale (ad es. Šurpu e Maqlû): solitamente, vi venivano indicate sia le azioni da compiere (agenda) e del materiale da usare, sia degli incantesimi da recitare (dicenda). In ogni caso, gli incipit e le rubriche apposti ad ogni incantesimo ne rendevano chiaro lo scopo. Proprio basandosi su incipit e rubriche e sul contenuto del testo, si possono raggruppare gli incantesimi dividendoli tra testi a fini apotropaici e testi a fini manipolatori.
Il primo tipo è volto a liberare il paziente dal male che lo affligge, ma ha altresì uno scopo profilattico.
Per primi ricordiamo i Sumeri, già nel 3500 a.C. circa, i quali inventarono anche il sistema di scrittura cuneiforme, rimasto poi in uso per oltre 2000 anni presso le popolazioni successive, come per esempio gli Accadi e gli Assiro-Babilonesi (2000-539 a.C.).
La maggior parte delle informazioni riguardo la magia nel mondo mesopotamico ci viene da iscrizioni in cuneiforme su tavolette d’argilla. Le fonti scritte più numerose ed interessanti sono istruzioni rituali, prescrizioni ed incantesimi che venivano registrati e copiati da ritualisti o altri scribi per le proprie biblioteche personali o per quelle di corte. Una famosa biblioteca, ricca di tavolette magiche, è quella di Assurbanipal, l’ultimo grande re d’Assiria, sita nel suo palazzo di Ninive.
Gli incantesimi venivano trasmessi per iscritto ad opera di professionisti quali l’āšipu, la cui educazione lo rendeva capace di consultare e copiare i testi. Questi ultimi potevano essere conservati singolarmente, raccolti in compendi o, soprattutto dalla seconda metà del secondo millennio, in composizioni molto più ampie, composte da più tavolette, e comprendenti varie indicazioni per lo svolgimento del rituale (ad es. Šurpu e Maqlû): solitamente, vi venivano indicate sia le azioni da compiere (agenda) e del materiale da usare, sia degli incantesimi da recitare (dicenda). In ogni caso, gli incipit e le rubriche apposti ad ogni incantesimo ne rendevano chiaro lo scopo. Proprio basandosi su incipit e rubriche e sul contenuto del testo, si possono raggruppare gli incantesimi dividendoli tra testi a fini apotropaici e testi a fini manipolatori.
Il primo tipo è volto a liberare il paziente dal male che lo affligge, ma ha altresì uno scopo profilattico.
STRUTTURA DEGLI INCANTESIMI
La magia mesopotamica può essere divisa in quattro principali categorie:
1. magia manipolativa, con la quale il paziente o l’oggetto dell’incantesimo venivano trasformati e portati in un’altra condizione;
2. magia difensiva, con la quale una malattia od un problema venivano rimossi dal paziente;
3. magia aggressiva, grazie alla quale l’agente o il paziente ottenevano superiorità, forza e attrattiva;
4. stregoneria, una forma di magia illegale volta a danneggiare il paziente.
Oltre a ciò, si possono distinguere gli incantesimi in base alla loro funzione: curativi oppure apotropaici.
La magia mesopotamica può essere divisa in quattro principali categorie:
1. magia manipolativa, con la quale il paziente o l’oggetto dell’incantesimo venivano trasformati e portati in un’altra condizione;
2. magia difensiva, con la quale una malattia od un problema venivano rimossi dal paziente;
3. magia aggressiva, grazie alla quale l’agente o il paziente ottenevano superiorità, forza e attrattiva;
4. stregoneria, una forma di magia illegale volta a danneggiare il paziente.
Oltre a ciò, si possono distinguere gli incantesimi in base alla loro funzione: curativi oppure apotropaici.
Tra questi ultimi i principali:
1. anti-stregoneria (kišpū): contro sofferenze e malattie la cui causa è un attacco di stregoneria;
2. anti-fantasmi: per placare o scacciare lo spirito molesto di un defunto;
3. contro i demoni: per scacciare un demone specifico oppure un gruppo di entità eterogenee;
4. contro una maledizione: per annullare gli effetti portati dall’infrazione di un taboo, di un giuramento, così come pure dal contatto finanche involontario con qualcuno macchiatosi delle colpe suddette;
5. contro i cattivi presagi: per annullare gli effetti negativi di un cattivo presagio;
6. per la collera divina: per placare divinità distanti o infuriate;
7. contro animali pericolosi: per scongiurare la comparsa o l’attacco di animali come scorpioni, serpenti e cani rabbiosi.
1. anti-stregoneria (kišpū): contro sofferenze e malattie la cui causa è un attacco di stregoneria;
2. anti-fantasmi: per placare o scacciare lo spirito molesto di un defunto;
3. contro i demoni: per scacciare un demone specifico oppure un gruppo di entità eterogenee;
4. contro una maledizione: per annullare gli effetti portati dall’infrazione di un taboo, di un giuramento, così come pure dal contatto finanche involontario con qualcuno macchiatosi delle colpe suddette;
5. contro i cattivi presagi: per annullare gli effetti negativi di un cattivo presagio;
6. per la collera divina: per placare divinità distanti o infuriate;
7. contro animali pericolosi: per scongiurare la comparsa o l’attacco di animali come scorpioni, serpenti e cani rabbiosi.
Prerequisito importantissimo era la purificazione rituale del paziente, dato che la sua
condizione era prima di tutto dovuta ad un’impurità.
La maggior parte degli incantesimi si compone di alcune parti fondamentali:
1. descrizione del problema (l’essere naturale o sovrannaturale contro cui è necessario difendersi, la malattia, in ogni caso tutto ciò che causa la rottura di un equilibrio);
2. descrizione della sua eziologia (genealogia del demone, origini della malattia o della rottura dell’equilibrio, spesso collegandola direttamente al mondo divino);
3. aiuto divino, espresso tramite un dialogo tra Ea/Enki e suo figlio Marduk/Asalluhi; oppure, più frequentemente, soprattutto quando bisogna fronteggiare una malattia, tramite la formula mannam lušpur, in cui si chiede aiuto alle figlie di Ea;
4. ordine espresso dallo specialista contro la causa del problema, sia al precativo sia all’imperativo;
5. dichiarazione di appartenenza dell’incantesimo ad una divinità.
condizione era prima di tutto dovuta ad un’impurità.
La maggior parte degli incantesimi si compone di alcune parti fondamentali:
1. descrizione del problema (l’essere naturale o sovrannaturale contro cui è necessario difendersi, la malattia, in ogni caso tutto ciò che causa la rottura di un equilibrio);
2. descrizione della sua eziologia (genealogia del demone, origini della malattia o della rottura dell’equilibrio, spesso collegandola direttamente al mondo divino);
3. aiuto divino, espresso tramite un dialogo tra Ea/Enki e suo figlio Marduk/Asalluhi; oppure, più frequentemente, soprattutto quando bisogna fronteggiare una malattia, tramite la formula mannam lušpur, in cui si chiede aiuto alle figlie di Ea;
4. ordine espresso dallo specialista contro la causa del problema, sia al precativo sia all’imperativo;
5. dichiarazione di appartenenza dell’incantesimo ad una divinità.
Divinità e demoni
Le principali divinità invocate nei rituali magici erano Enki-Ea, il dio della saggezza e della magia, che risiedeva nel mare sotterraneo; Asalluḫi-Marduk, suo figlio, (Assur nel Nord) anch’egli considerato una divinità patrona della sapienza magica; ed il dio Sole Utu-Šamaš, dio della giustizia e della luce. Alcuni incantesimi sono rivolti a tutti e tre, considerati la triade della magia: laddove Ea e
Marduk are sono considerati esorcisti divini ed esperti purificatori, Šamaš agisce in qualità di giudice divino liberando la vittima, portando la luce e ribaltando il verdetto divino che era stato tra le
cause della malattia.
Altre divinità menzionate regolarmente sono la dea Ningirima, che è a custodia del recipiente dell’acqua sacra; il dio Kusu, purificatore, associato con l’incensiere; Gibil-Girra, il fuoco divino, che rappresenta la forza distruttiva e purificatrice del fuoco; Siriš, dea della birra.
Durante i rituali notturni venivano invocati il dio-Luna, le stelle e la personificazione divina della notte. La luna Nuova, periodo particolarmente favorevole per gli incantesimi contro la stregoneria, poteva anch’essa essere personificata ed invocata.
Ne vediamo un esempio nell’incantesimo di aperture del rituale chiamato Maqlû: l’incantatore si rivolge alle divinità della notte, le stele e le manifestazioni degli dei, la notte (associata con la dea guaritrice Gula) e i tre custodi della notte.
(Maqlû I 1-3):
Io vi invoco, divinità della notte,
insieme a voi io invoco la Notte, la sposa velata,
Invoco il Crepuscolo, la Mezzanotte e l’Alba!
Spesso un recipiente con dell’acqua consacrata veniva lasciato all’aperto durante la notte in modo da essere esposto al potere delle divinità astrali. Molti rituali dovevano essere eseguiti sotto specifiche stelle, costellazioni o pianeti, come Giove, Scorpione, l’Orsa Maggiore, Sirio. La stella della Capra, nella costellazione della Lyra, veniva associata alla dea Gula, proprio come la personificazione divina della notte, e giocava un ruolo molto importante nei rituali notturni.
Fra le altre divinità invocate troviamo Ningirsu, una forma in cui era adorato Ninurta, divinità guerriera da un lato, dall’altro associata alla vegetazione e alla coltivazione, alla regolazione dei canali, essenziale per l’irrigazione e quindi per la prosperità; Damu, Ninisina e Ninkarrak (queste ultime sembrano essere forme di Gula: difatti Ninisina è più un titolo che un nome proprio, significa infatti la signora di Isin, città di cui era la divinità tutelare. Era considerata madre di Damu e patrona degli incantesimi di guarigione). Gula era considerata una divinità guaritrice e patrona degli specialisti in questo settore. Sposa di Ninurta, era la madre di Damu.
Causa dei morbi erano ritenuti i demoni. Non vi era un termine specifico per designare tale categoria di esseri nel loro complesso (come ad esempio il termine īlum per designare le divinità); piuttosto, per ogni agente maligno vi era un nome specifico (es. utukku, asakku, etemmu) di cui tuttavia non abbiamo conoscenze approfondite. Alcune denominazioni evocavano immediatamente la malattia cui si riferivano, condividendone il nome: così, ad esempio, la febbre era causata da Febbre, l’epilessia da Epilessia ecc.
Nella Weltanshauung mesopotamica, le forze demoniache facevano anch’esse parte di un tutto ordinato; per questo motivo, la loro azione di danneggiamento nei confronti dell’uomo doveva essere ordinata dagli dei, irritati da una qualche colpa o omissione, di cui dunque i demoni rappresentavano solo gli esecutori. Lo specialista āšipu era però in grado di invocarli per fermare l’attacco dei demoni.
Una particolare minaccia per i bambini neonati sembra essere posta da Lamaštu.
Considerata figlia del dio del cielo An, essa era temuta per i suoi atti di violenza contro puerpere, giovani madri e neonati. Negli incantesimi accadici viene enfatizzato l’aspetto minaccioso e mostruoso del demone e la sua aggressività nel compiere azioni volte a danneggiare la salute dei bambini.
E’ importante sottolineare che gli dei non erano necessariamente alleati del paziente. Potevano aver riversato la loro collera su di lui a causa di torti supposti o reali, o addirittura essere portati a far ciò con l’inganno dalle streghe. Una delle funzioni più importanti degli incantesimi era, dunque, quella di convincere le divinità invocate dell’innocenza del paziente e di far loro cambiare idea nei suoi riguardi.
La stregoneria e l’ira divina non sono le sole aree della magia mesopotamica dove gli dei giocavano un ruolo ambivalente: la dimora di Enki-Ea, l’oceano sotterraneo (apsû), non era soltanto la fonte di incantesimi e rituali di purificazione, ma anche il luogo da cui demoni, malattie ed ogni sorta di magia “nera” provenivano.
Gli specialisti della magia Il trattamento e la cura di problemi di salute erano di competenza principalmente di due specialisti: l’ āšipu o mašmaššu e l’asû. Secondo una visione largamente condivisa, la figura dell’ āšipu e quella dell’asû avevano la stessa relazione che intercorre oggi tra le figure del medico e del farmacista. Si può arrivare a tale conclusione dal fatto che l’unico gruppo di testi utilizzato o posseduto dall’asû enumera liste di piante medicinali e istruzioni sul loro utilizzo. Come il farmacista odierno, l’asû era esperto nell’uso dei farmaci.
Egli doveva conoscerne le varietà, i luoghi ed il periodo migliore della raccolta, la loro conservazione e preparazione. Tuttavia egli non faceva solitamente ricorso alla recitazione di incantesimi, né doveva essere in grado di operare su malattie complesse o di formulare diagnosi, operazioni per le quali avrebbe avuto bisogno dell’assistenza dell’ āšipu. Quest’ultimo era l’esperto che praticava rituali apotropaici, recitando incantesimi ed eseguendo manipolazioni di carattere magico; per questo motivo il termine è correntemente tradotto come “esorcista”. Contrariamente all’asû, faceva parte del personale dipendente dal tempio. I suoi servigi erano richiesti dal re e dalla corte, così come da clienti privati appartenenti alle classi sociali più elevate. La sua formazione era di alto livello: spettava a lui
esaminare il paziente, fare una diagnosi ed una prognosi della malattia e spesso stabilirne l’eziologia; infatti, era importante capire se fosse stata scatenata da una causa naturale, mandata da una divinità o provocata dall’infrazione di un taboo; per ognuno di questi casi si sarebbero dovuti utilizzare incantesimi e rituali differenti.
Di norma, durante il corso di un rituale egli doveva svolgere sia una parte orale sia una parte manuale: recitava uno o più incantesimi, accompagnandoli con azioni, come ad es. la manipolazione di figurine o di oggetti vari che dovevano rappresentare il problema da risolvere. Il rituale di norma coinvolgeva solamente l’ āšipu ed il suo cliente. La recitazione di incantesimi rappresentava una parte molto importante dell’attività dell’ āšipu. Dunque l’ āšipu si sarebbe prevalentemente occupato di guarire il paziente dall’interno (ovvero, agendo sulla sua psiche): ecco allora l’importanza della recitazione degli incantesimi: quest’ultima azione, infatti, aveva lo scopo di rafforzare le altre, tramite l’uso della magia della parola.
Originariamente, l’asû si occupava di problemi di salute la cui causa fosse evidente e semplice (come colpi di calore, ferite o tagli, fratture, comuni raffreddori e tosse); accompagnava le manipolazioni fisiche, le piccole operazioni di chirurgia e l’impiego di rimedi vegetali con la recitazione di incantesimi.
Incantatori di serpenti, uomini-gufo e stregoni
Vi erano tuttavia altri professionisti della magia di cui poche tracce sono rimaste nei testi scritti, ma che si incontravano sicuramente per le strade delle città babilonesi ed assire. Una preghiera a Marduk loda il dio in qualità di divino garante degli esperti ritualisti:
Di norma, durante il corso di un rituale egli doveva svolgere sia una parte orale sia una parte manuale: recitava uno o più incantesimi, accompagnandoli con azioni, come ad es. la manipolazione di figurine o di oggetti vari che dovevano rappresentare il problema da risolvere. Il rituale di norma coinvolgeva solamente l’ āšipu ed il suo cliente. La recitazione di incantesimi rappresentava una parte molto importante dell’attività dell’ āšipu. Dunque l’ āšipu si sarebbe prevalentemente occupato di guarire il paziente dall’interno (ovvero, agendo sulla sua psiche): ecco allora l’importanza della recitazione degli incantesimi: quest’ultima azione, infatti, aveva lo scopo di rafforzare le altre, tramite l’uso della magia della parola.
Originariamente, l’asû si occupava di problemi di salute la cui causa fosse evidente e semplice (come colpi di calore, ferite o tagli, fratture, comuni raffreddori e tosse); accompagnava le manipolazioni fisiche, le piccole operazioni di chirurgia e l’impiego di rimedi vegetali con la recitazione di incantesimi.
Incantatori di serpenti, uomini-gufo e stregoni
Vi erano tuttavia altri professionisti della magia di cui poche tracce sono rimaste nei testi scritti, ma che si incontravano sicuramente per le strade delle città babilonesi ed assire. Una preghiera a Marduk loda il dio in qualità di divino garante degli esperti ritualisti:
“Senza di te l’esorcista (āšipu) non potrebbe curare I malati, senza di te
l’esorcista (āšipu), the l’’uomo gufo’ (eššebû), e l’incantatore di serpenti (mušlaḫḫu)
non camminerebbero per le strade (offrendo i loro servizi).”
Non sappiamo bene come venissero considerati, visto che su di loro abbiamo anche pareri negativi; ad esempio, erano sospettati di usare la magia illegalmente per causare danni invece che portare cure.
Nel passo seguente, tratto da un incantesimo in akkadico che doveva essere recitato durante la cerimonia antistregoneria di Maqlû, il paziente enumera tutta una serie di possibili autori di stregoneria da rivoltare contro la strega che ha causato il danno:
(Maqlû VII 88–96)
Io cerco contro di te sacerdoti- kurgarrû e uomini-gufo – io spezzo i tuoi vincoli!
Che gli stregoni facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Che le streghe facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Che i sacerdoti- kurgarrû facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Che gli uomini-gufo facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Che gli stregoni-naršindu facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Che gli incantatori di serpenti facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Che gli stregoni-agugillu facciano rituali contro di te – io spezzo i tuoi vincoli!
Io prendo a schiaffi la tua faccia, io strappo la tua lingua!
Sguardi e parole malevoli erano altamente temuti: le streghe colpivano le loro vittime anche in questo modo. Inoltre, esse creavano figurine di creta e argilla, le sporcavano con la terra, le bruciavano e ne disperdevano le ceneri, e le seppellivano in posti diversi, per esempio in una tomba per simboleggiare la morte della vittima, sotto un cancello, un ponte oppure ad un incrocio, dove la gente costantemente passava calpestandole.
IL LESSICO SPECIFICO
Il sostantivo accadico che designa l’incantesimo è šiptu, derivato dalla radice *wsp, di cui esiste una sola forma verbale, uššupum, che designa l’atto di influenzare gli esiti di un processo tramite l’uso di incantesimi. Dalla medesima radice deriva anche il sostantivo usato per designare lo specialista di incantesimi, åšipu. Negli incantesimi, il termine šiptu si trova frequentemente usato nella parte conclusiva del testo, nella formula šiptu ul jâtum, šipat (l’incantesimo non è mio, è l’incantesimo di…) seguito dal nome di una o più divinità. In alternativa o in aggiunta, l’incantesimo può terminare con la formula sumerica tu-en-é-nu-ri, il cui significato è chiaramente quello di “formula magica”.
Interessante sottolineare che il verbo tecnico usato per indicare l’avvenuta recitazione di un incantesimo è nadûm, che letteralmente significa “lanciare, gettare”. La parola pronunciata durante l’incantesimo perde la sua connotazione astratta per acquisire lo status di oggetto capace di provocare cambiamenti sensibili, agendo come una sorta di proiettile o arma magica.
L’akkadico annovera inoltre una gran varietà di termini per definire la stregoneria. La parola principale è kišpū , derivate dal verbo corrispettivo kašāpu, che è inoltre la base per i termini kaššāpu “stregone” e kaššāptu “strega”.
Un altro gruppo di termini è derivato dal verbo epēšu “fare”, “praticare rituali”, “praticare stregoneria”.
Specifiche tipologie di stregoneria
1 zikurudû (Akkadico; Sumero: zi.ku5.ru.da) magia ‘che taglia la gola’
2 kadabbedû (Akkadico; Sumero: ka.dab.bé.da) magia ‘che afferra la bocca’
3 dibalû (Akkadico; Sumero: di.bal.a) magia ‘che distorce la giustizia’
4 zīru (Akkadico; Sumero: ḫul.gig) magia d’odio
La prima era considerate una tipologia estremamente pericolosa e spesso mortale, la cui attuazione includeva l’invocazione di divinità astrali.
Sia la numero 2 che la 3 miravano a rendere la vittima inerme ed incapace di difendersi di fronte a giudici e superiori in generale.
L’ultimo tipo, infine, provocava l’isolamento sociale della vittima e aperta ostilità nei suoi confronti (al suo esatto opposto troviamo rāmu, magia d’amore, che -ovviamente- suscitava nella vittima amore nei confronti del soggetto prescelto).
IL POTERE MAGICO DELLA PAROLA
Per agire su ciò che lo circonda e che vuole trasformare o eliminare, l'uomo non ha a disposizione che due mezzi essenziali: la mano e la parola.
Per quanto riguarda il primo, può operare sfruttando le proprietà dei molti elementi naturali che lo circondano.
La sua voce, invece, gli fornisce uno strumento efficace per farsi obbedire, non solamente dagli animali domestici e dagli altri uomini, e per arrivare, grazie ai suoi ordini, ai medesimi risultati.
Infatti, il nome proprio di un essere, così come le sue componenti grafiche e fonetiche, potevano essere manipolati magicamente, al fine di prenderne il possesso. Potevano infatti rappresentare, in virtù del principio della magia simpatica, il possessore del nome.
Quindi, non avere nome significava non esistere, chiamare per nome significava creare; con la parola si crea e si distrugge, si fissa il destino; infine, la maledizione espressa è ineluttabile.
Alla parola è riconosciuta la facoltà creativa e distruttiva.
Gli incantesimi non erano intesi per intrattenere, dimostrare abilità verbale o costruire mondi immaginari, ma per essere usati all’interno di rituali magici, al fine di provocare un cambiamento sensibile nel reale.
La parte verbale dei rituali magici obbedisce a regole che non differiscono fondamentalmente da quelle che governano il resto della materia magica. Il trasferimento di proprietà specifiche è raggiunto tramite la simbolica manipolazione di somiglianze. Nella maggior parte dei casi, la materia magica è caratterizzata da più che qualche somiglianza. Gli oggetti utilizzati devono essere puri, devono essere raccolti di notte o arrivare da paesi esotici. In altre parole, devono possedere proprietà diverse dagli oggetti comuni. Lo stesso si può dire del linguaggio magico.
Esso deve essere distinto dal linguaggio ordinario. Per raggiungere un simile obiettivo vi sono tre sistemi: il primo è quello di usare un linguaggio considerato sacro. Il secondo è quello di usare un linguaggio elevato rispetto all’ordinario, poetico. Un esempio può essere costituito dall’uso del Latino nel medioevo europeo, una lingua accessibile solo ad una ristretta cerchia di iniziati. Il terzo sistema consiste nell’utilizzo di un linguaggio apparentemente senza senso, che potremmo definire abracadabra. Un esempio proviene da un compendio medico per disturbi oculari del primo millennio a.C., in cui agli incantesimi, in lingua accadica, si fanno precedere alcune linee in uno sgrammaticato sumerico (di cui si riporta a titolo di confronto solo la prima linea):
Oltre ad essere distinto da quello comune, il linguaggio magico deve anche possedere un’altra importante caratteristica, ovvero la capacità della persuasione. Molti autori hanno discusso della relazione tra retorica e magia, primo fra tutti Gorgia nel V sec. a. C.: entrambe hanno in comune l’intenzione di voler modificare il reale (come costringere un demone alla fuga o influenzare l’opinione pubblica durante un processo). I mezzi utilizzati per raggiungere tale scopo sono soprattutto poetici, quali figure retoriche di senso e di suono. Tra le seconde, figura l’uso di ripetizioni di singoli fonemi, parole o intere frasi: esse sono necessarie per impartire maggior autorità al comando o maggior forza all’azione da compiere, con un'efficacia proporzionata alla sua insistenza.
1 zikurudû (Akkadico; Sumero: zi.ku5.ru.da) magia ‘che taglia la gola’
2 kadabbedû (Akkadico; Sumero: ka.dab.bé.da) magia ‘che afferra la bocca’
3 dibalû (Akkadico; Sumero: di.bal.a) magia ‘che distorce la giustizia’
4 zīru (Akkadico; Sumero: ḫul.gig) magia d’odio
La prima era considerate una tipologia estremamente pericolosa e spesso mortale, la cui attuazione includeva l’invocazione di divinità astrali.
Sia la numero 2 che la 3 miravano a rendere la vittima inerme ed incapace di difendersi di fronte a giudici e superiori in generale.
L’ultimo tipo, infine, provocava l’isolamento sociale della vittima e aperta ostilità nei suoi confronti (al suo esatto opposto troviamo rāmu, magia d’amore, che -ovviamente- suscitava nella vittima amore nei confronti del soggetto prescelto).
IL POTERE MAGICO DELLA PAROLA
Per agire su ciò che lo circonda e che vuole trasformare o eliminare, l'uomo non ha a disposizione che due mezzi essenziali: la mano e la parola.
Per quanto riguarda il primo, può operare sfruttando le proprietà dei molti elementi naturali che lo circondano.
La sua voce, invece, gli fornisce uno strumento efficace per farsi obbedire, non solamente dagli animali domestici e dagli altri uomini, e per arrivare, grazie ai suoi ordini, ai medesimi risultati.
Infatti, il nome proprio di un essere, così come le sue componenti grafiche e fonetiche, potevano essere manipolati magicamente, al fine di prenderne il possesso. Potevano infatti rappresentare, in virtù del principio della magia simpatica, il possessore del nome.
Quindi, non avere nome significava non esistere, chiamare per nome significava creare; con la parola si crea e si distrugge, si fissa il destino; infine, la maledizione espressa è ineluttabile.
Alla parola è riconosciuta la facoltà creativa e distruttiva.
Gli incantesimi non erano intesi per intrattenere, dimostrare abilità verbale o costruire mondi immaginari, ma per essere usati all’interno di rituali magici, al fine di provocare un cambiamento sensibile nel reale.
La parte verbale dei rituali magici obbedisce a regole che non differiscono fondamentalmente da quelle che governano il resto della materia magica. Il trasferimento di proprietà specifiche è raggiunto tramite la simbolica manipolazione di somiglianze. Nella maggior parte dei casi, la materia magica è caratterizzata da più che qualche somiglianza. Gli oggetti utilizzati devono essere puri, devono essere raccolti di notte o arrivare da paesi esotici. In altre parole, devono possedere proprietà diverse dagli oggetti comuni. Lo stesso si può dire del linguaggio magico.
Esso deve essere distinto dal linguaggio ordinario. Per raggiungere un simile obiettivo vi sono tre sistemi: il primo è quello di usare un linguaggio considerato sacro. Il secondo è quello di usare un linguaggio elevato rispetto all’ordinario, poetico. Un esempio può essere costituito dall’uso del Latino nel medioevo europeo, una lingua accessibile solo ad una ristretta cerchia di iniziati. Il terzo sistema consiste nell’utilizzo di un linguaggio apparentemente senza senso, che potremmo definire abracadabra. Un esempio proviene da un compendio medico per disturbi oculari del primo millennio a.C., in cui agli incantesimi, in lingua accadica, si fanno precedere alcune linee in uno sgrammaticato sumerico (di cui si riporta a titolo di confronto solo la prima linea):
EN2 igi-bar igi-bar-bar igi-bar-ra bar-bar igi-hul igi-hul-hul igi-bar-ra hul-hul
Il passaggio in questione non è, come può sembrare, una ripetizione di suoni priva di significato: la ripetizione di igi-bar fa comprendere che si tratta di qualcosa connesso con gli occhi; l’associazione con hul rende chiaro che si tratta di qualcosa di problematico. In questo modo, l’assenza di una grammatica e di una sintassi corrette viene compensata tramite la ripetizione e l’associazione fonica.Oltre ad essere distinto da quello comune, il linguaggio magico deve anche possedere un’altra importante caratteristica, ovvero la capacità della persuasione. Molti autori hanno discusso della relazione tra retorica e magia, primo fra tutti Gorgia nel V sec. a. C.: entrambe hanno in comune l’intenzione di voler modificare il reale (come costringere un demone alla fuga o influenzare l’opinione pubblica durante un processo). I mezzi utilizzati per raggiungere tale scopo sono soprattutto poetici, quali figure retoriche di senso e di suono. Tra le seconde, figura l’uso di ripetizioni di singoli fonemi, parole o intere frasi: esse sono necessarie per impartire maggior autorità al comando o maggior forza all’azione da compiere, con un'efficacia proporzionata alla sua insistenza.
Le parole sono dunque di importanza cruciale per lo specialista della magia. Non solo sono gli strumenti con cui lavora, ma costituiscono un potere che è necessario saper attivare. L’atto magico significa riuscire a creare con le parole, poiché esse sono dotate di un potere peculiare nel campo magico.
Alcuni esempi di incantesimi
1 Incantesimo per avere del cibo
2 kakkabū akallakunūti
3 šamû akallakunūti
4 ersetum akallaki
5 Anum akallaka
6 Enlil akallaka
7 adi eleqqu
8 maštīti u kurummati
9 [ ]x šamû šamû
10 tu-én-é-nu-ru
Traduzione
2 Stelle, io vi trattengo!
3 Cieli, io vi trattengo!
4 Terra, io ti trattengo!
5 An, io ti trattengo!
6 Enlil,io ti trattengo!
7-8 Fino a quando non avrò la mia bevanda e la mia razione di cibo!
9...cieli, cieli.
10 Formula magica.
1 Incantesimo d’amore
24. amrannima kīma pitnim hudu
25. kīma Zeraš libbaka liwir
26. kīma dšamašim ittanpuham
27. kīma d Sîn idišam
28. [X X I]G u ramka lidiš
24. guardami e sii teso come le corde di un’arpa,
25. che il tuo cuore avvampi come con il liquore,
26. continua a bruciare come il sole
27. continua a rinnovare te stesso come la luna,
28. …che il tuo amore sia sempre fresco.
1 Incantesimo di protezione per il mago
1. APIN! (AK) ersetam irahhi
2. {d}Šakkan ramānašu uššap
3. lūšimma ramāni lūšip šiptam
11. šipat ramāniya yâti ahzini
Traduzione
1. L’aratro insemina la terra,
2. Šakkan incanta se stesso.
3. Fa’ che io incanti me stesso, fa’ che io mi incanti con un incantesimo!
11. così, incantesimo che io lancio su me stesso, prendimi!
1 Incantesimo per far dormire un neonato (!)
1.sehrum wāšib bīt ekletim2. lū tattasâm tātamar nūr šamšim
3. ammīn tabakki ammīn tuggag
4. ullikīa ammīn lā tabki
5. ili bītim tedki kusarikkum iggeltêm
6. mannum idkīanni
7. mannum ugallitanni
8. sehrum idkīka sehrum ugallitka
9. kīma šātû karānim
10. kīma mār sābītim
11. limqutaššum šittum
Traduzione
1. Bambino, che hai vissuto nella casa dell’oscurità,2. ora sei fuori, hai visto la luce del sole.
3. Perché piangi, perché strilli?
4. Perché non hai pianto là dentro?
5. Hai svegliato il dio della casa, il kusarikkum si è svegliato:
6. “Chi mi ha svegliato?
7. Chi mi ha allarmato?”
8. Il bambino ti ha svegliato, il bambino ti ha allarmato!
9. “Come sui bevitori di vino,
10. come sugli ubriachi,
11. possa il sonno cadere su di lui!”