venerdì 29 gennaio 2016

LA CROCE DI BRIGHID

LA CROCE DI BRIGHID
La patrona di Imbolc, o Candelora nella tradizione popolare italiana, è la dea celtica Brigid poi cristianizzata in Santa Brigida d'Irlanda.
La dea è conosciuta con vari nomi: Brigid (Irlanda), Brighid (Irlanda), Bridget (Irlanda) versione anglicizzata dell'originale gaelico. Brid, Bríd (Irlanda), Bride (Scozia), Brìghde(Scozia), Ffraid (Galles), Breo Saighead, Berecyntia (Gallia), Brigan, Brigandu (Gallia), Brigantia, Brigantis (Bretagna), Brigindo (Svizzera).
Il nome Brighit viene dal gaelico «Brig» che vuol dire «Potente e Ispirata», Brighit infatti, é la potente Dea del cambiamento, la trasformazione, la divinazione, la poesia e tutto quanto ha a che fare con l’ispirazione.
Raffigurata come un serpente verde, la dea incarna la Natura che ritorna alla vita dopo la morte invernale giovane, rigenerata e pura.
In epoca cristiana Brighit è divenuta Santa Brigida ed ha conservato tutti i suoi attributi, ovvero il fuoco, l’acqua, il grano, il serpente (a volte raprresentato da un bastone), la croce di Brighit e il mantello di colore verde.

Imbolc, o Festa di mezzo inverno, è una delle feste dette "festa del fuoco" perché si festeggiano attorno ai falò rituali.
Infatti il fuoco è simbolo di luce e di purificazione, di sostentamento e di fecondità. Esso rappresenta il Dio che feconda la Dea, l’energia maschile e quella femminile che si incontrano per dare origine alla vita.
I riti che si compiono in questi giorni sono volti all’osservazione della natura e del suo risveglio e sono simbolici del sole tiepido, della pioggia che nutre la terra e della trasformazione interiore.
Secondo alcuni, la croce rappresenta anche la ruota dell’anno, sacra alle dee, che segna i cicli della natura. Ci sarebbe anche una corrispondenza dei quattro bracci della croce con i cosiddetti “quattro aspetti della dea”: la Vergine, la Madre, la Strega e la Vecchia Saggia.

La croce di St.Brigid viene tradizionalmente intrecciata nel giorno della vigilia del giorno della sua festa e posta in casa, solitamente sulla porta, per benedire tutti quelli che entrano o escono, e per ottenere protezione della casa contro il fuoco e le malattie.
Lo stesso giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora. La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina.



I materiali tradizionali sono giunchi e vimini ma si possono usare anche bastoncini, cordini o fili di circa 25-30 cm. Non c’è una regola fissa, dipende essenzialmente da quanto grande la si vuole e dall’utilizzo che se ne vuol fare. Come numero devono esere almeno 9.
Per chiudere le estremità occorrono 4 corde di giunchi intrecciati oppure spaghi, nastri o anche fili di cotone da cucito.






Procedimento:
1) Piegare ciascun filo esattamente a metà tranne uno (verde).
Prendere l’unico filo non piegato e posizionarlo verticalmente.
Prendere un filo piegato (blu) e incastrarlo orizzontalmente come in figura con le estremità verso destra .







2) Tenere strettamente la parte centrale con pollice e indice e ruotare il lavoro di 90° a sinistra (come nell'immagine)








3)Avvolgere un terzo filo (giallo) attorno al secondo (blu)






 




4)Tenere la parte centrale e ruotare nuovamente di 90° a sinistra







  
Ogni volta che si aggiunge un filo, bisogna ruotare il lavoro di 90° a sinistra… Facile, no?!






5) Aggiungere un altro filo (rosso) e ripetere il passaggio quante volte si vuole finché non si raggiunge una dimensione che vi soddisfi.











6) Fermare le estremità con degli elastici e rimuovere le parti in eccesso.

La croce di Brighid ora è pronta per essere appesa!






Alcuni esempi:


Simona 

Fonti:
http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Ruo_Imbolc06.htm
http://www.ilcalderonemagico.it/dee_Brigid.html
http://www.strie.it/Femm_CroceBrigid.html

lunedì 25 gennaio 2016

Rituale per Imbolc

Il rituale qui presentato é interamente incentrato sulla Dea Brighid e può essere facilmente adattato per una celebrazione solitaria o di gruppo.

Materiale: incenso, una coppa d´acqua, un pennello da pittore, bacchetta o bastone, 3 candele bianche ed una rossa, una rappresentazione del dio bambino, una lampada a olio ed olio di colore rosso.

Come al solito, vi invito caldamente ad iniziare il rituale o secondo la vostra Tradizione di appartenenza, o seguendo ciò che il cuore vi consiglia o ciò che usate nelle vostre pratiche solitarie.
L´ordine é sempre una meditazione per focalizzare l´intento, apertura del cerchio e invocazione dei Quarti :)
Una volta ultimate tali pratiche, recitate la preghiera druidica:

O Spirito, garantiscimi/ci la tua protezione 
e nella protezione, forza
e nella forza, compassione
e nella compassione, conoscenza
e nella conoscenza, la consapevolezza della giustizia
e nella consapevolezza della giustizia, l´amore per essa
e nell´amore per essa, l´amore per tutti ciò che é vita
e nell´amore per tutto ciò che é vita, l´amore dello Spirito
e di tutta la sua grandezza 

Accendete la candele rossa e l´incenso e recitate:

Invoco gli Anziani
O saggio divino, incoraggiami
Gli Antenati ci siano da testimoni
Ricordino che i dragoni sono qui riuniti e riconosciuti 

Invocazione a Brighid:

Brighid, amata, ascolta la mia preghiera
Mi inchino alla tua fiamma in adorazione 
O fiamma di pace, fiamma di sostentamento
Brighid, amata, alimenta la mia fucina
Sprigiona le mie fiamme creative
Attraverso le parole e l´arte possa il mondo guarire
Brighid, amata, inspirami
Che la tua fiamma possa sempre sostenermi
Nel mio tentativo di servire il mondo

Sollevata la coppa d´acqua e recitate:

Come l´inverno si scioglie in primavera,
possa la terra ricoprirsi di acqua guaritrice

Immergete un dito nella ciotola, toccatevi la fronte e recitate:

Possa questo anno trovarmi più in salute dello scorso

Riportare la ciotola sull´altare, prendete il pennello e tessete un disegno immaginario usando il fumo dell´incenso recitando:

Vieni a me Brighid, fata vergine
Signora di gloriose fiamme
Poeta e musa
Spronami con la più appassionata arte
benedici il mio fuoco vitale 

 Posate il pennello e prendete la bacchetta e battetela tre volte sull´altare (o il bastone tre volte a terra) recitando:

Vieni a me Brighid, fata vergine
Signora di gloriose fiamme
Ascolta il mio battito
Riscaldare la terra intera
Caccia l´oscurità e scioglie il ghiaccio
Dissipa ogni sofferenza 

Posate la bacchetta o il bastone, prendete tra le mani la candela rossa e usatela per accendere le tre bianche recitando:

Vieni a me Brighid, fata vergine
Signora di gloriose fiamme
Fresca ispirazione
Da questo allineamento di fuoco
Sia nato un fiume di arricchimento e prosperità  

Posate la candela rossa e e prendete il simbolo del dio bambino:

Vieni a me Brighid, fata vergine
Signora di gloriose fiamme
Dea del nuovo cammino
Bacia e benedici questo dio bambino che sia Sole e Figlio
Nettare di pace dalle tue labbra 

Posate il simbolo e fronteggiate l´altare e la lampada a olio recitando:

Mentre accendo questa lampada,
mi rallegro della conoscenza che Imbolc ha portato una volta ancora,
che ci lambisce e ci spinge giro dopo giro,
portando con se nuove speranze, guarigioni,
e pace per tutto il mondo

Accendete la lampada a olio e recitate:

Brighid, o divina
Benedici questa piccola fiamma neonata
Che sia da attrazione per altri
Affinché tutti possano essere uniti
E illumunarsi di pace ed amore 

Il rituale é terminato, potete procedere con la benedizione di cibo e bevande (non obbligatoria e secondo la vostra Tradizione), salutate e congedate i Quarti ed aprite il Cerchio. Importante banchettare a seguito, in onore dei frutti della Dea e per rimettere i piedi  terra ;)


Felice celebrazione!!

Lily Violet Snake



lunedì 18 gennaio 2016

La caccia selvaggia - seconda parte


Stessa caccia, molti cacciatori

Sebbene si trovi in tutta Europa in modo simile nelle sue componenti principali (viene sentito un gran rumore, un abbaiare di cani e scoppi di urla, poi un Cavaliere su un cavallo nero, bianco o grigio, irrompe attraverso l'aria con i suoi segugi, seguito da un corteo di spiriti) bisogna tenere presente che la Caccia Selvaggia è sempre associata a leggende regionali e a frammenti di storia, dando così luogo a molteplici versioni.
Probabilmente trae origine dalla mitologia nordica e si diffonde in Bretagna, Francia, Germania, fino alle Alpi: così Odino si trasforma in Re Artù (Britannia), Carlo Magno (Francia), Nuada (Irlanda), Gwyn Ap Nudd (Galles) seguito dal suo branco di segugi bianchi con orecchie color sangue, re Waldemar (Danimarca), l’Exercito Antiguo (Spagna).
Nell’Inghilterra meridionale diventa Herla, un leggendario re dei Bretoni, famoso per il suo viaggio senza ritorno nel regno Oltremondano.
In età post cristiana la cavalcata viene guidata dal diavolo stesso e la processione diventa un corteo di anime dannate, la cosiddetta Masnada Hellequin.


Mesnie Hellequin - Arlecchino

La prima testimonianza scritta di cui si dispone è contenuta nell’Historia Ecclesiastica, scritta dallo storiografo Normanno Orderico Vitale nella prima metà del 1100 d.C., che riporta il racconto del prete normanno Gualchelmo; la notte di capodanno egli è testimone del passaggio della Familia Herlequini – la Masnada Hellequin. Il corteo (exercitus mortuorum) è composto da esseri infernali e mostruosi che infliggono atroci pene ad anime, sia uomini che donne, destinate alla dannazione. 
L’etimologia del termine è controversa: potrebbe indicare sia “gli uomini, i soldati di Herla” (in inglese antico thegn =soldato), così come “il cane di Herla” (in patois normanno quin = cane). In entrambi i casi è probabile il suo riferimento ad uno dei protagonisti della caccia, il Re Herla menzionato sopra. Secondo alcuni studiosi, da questo nome deriverebbe poi la figura della maschera Arlecchino.
La Masnada Hellequin, variante diffusa soprattutto in Normandia, rimane conosciuta fin verso la fine del 1800 come un’armata fantasma, guidata da Satana in persona, composta da anime dannate, peccatori che non avevano fatto in tempo ad ottenere l’assoluzione prima della morte, condannati a correre per l’eternità attraverso i cieli e a ritornare periodicamente alle loro antiche dimore.




Il culto dei morti

È importante notare la grande variabilità del mito della caccia selvaggia, la sua capacità di mischiarsi con altre credenze popolari e di prendere da esse elementi, combinandoli attraverso i secoli.
Nonostante i cambiamenti e le interpolazioni, possiamo vedere due direttrici principali nel mito: la prima è il culto degli antenati.
La seconda riguarda i riti che culminano nelle processioni mascherate simili al carnevale: con l'arrivo e il diffondersi del cristianesimo, il condottiero della caccia selvaggia è stato ridotto al rango di demone o anima dannata, ma originariamente era certamente una divinità psicopompa, come testimoniano anche i suoi animali, il cane ed il cavallo, di cui abbiamo già parlato nella prima parte di questo articolo.
Entrambe, comunque, si ricollegano ad uno scopo ben preciso: propiziarsi i morti, in quanto essi presiedevano alla fertilità del suolo e alla fecondità del bestiame.

Scrive Mircea Eliade:

L'agricoltura, come tecnica profana e come forma di culto, incontra il mondo dei morti su due piani distinti. Il primo è la solidarietà con la terra; i morti, come i semi, sono sotterranei, penetrano nella dimensione ctonia accessibile solo a loro. D'altra parte, l'agricoltura è per eccellenza una tecnica della fertilità, della vita che si riproduce moltiplicandosi, e i morti sono particolarmente attratti da questo mistero della rinascita(...) Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti(…)
Il banchetto collettivo rappresenta appunto tale concentrazione di energia vitale; un banchetto, con tutti gli eccessi che comporta, è dunque indispensabile tanto per le feste agricole quanto per la commemorazione dei morti. (…) anche i vivi hanno bisogno dei morti per difendere le semine e proteggere i raccolti. La Terra-Madre o la Grande Dea della fertilità, domina allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti. Ma questi ultimi, qualche volta, sono più vicini all'uomo, e l'agricoltore si rivolge loro perché benedicano e sostengano il suo lavoro (il nero è il colore della terra e dei morti)..”

La leggenda della caccia selvaggia rappresenta quindi una ricerca della conoscenza di questo mondo e dell'altro, mondi che costantemente interagiscono tra loro, dove non siamo mai da soli e dove possiamo sfuggire all'angoscia esistenziale soltanto perché sappiamo che siamo legati al futuro grazie al ricordo.
L’insegnamento che ne possiamo trarre tuttora è quello di non dimenticare: ricordare i morti, i nostri antenati, così che il nostro raccolto, fisico o più intangibile, possa crescere con la loro benedizione; altrimenti corriamo il rischio che il passato bussi comunque alla nostra porta, reclamando il necessario tributo.



In Italiano

Dario Spada, La caccia selvaggia, Società Editrice Barbarossa 1994
M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati-Boringhieri 2008


In inglese

Ellen Dugan – Seasons of Witchery, Llewellyn 2012
Jacob Grimm, Teutonic mythology, 1880
K. H. Gundarsson, The Folklore of the Wild Hunt and the Furious Host, Mountain Thunder 7(1992).
Claude Lecouteux, Phantom Armies of the Night, Inner Traditions 2011


lunedì 11 gennaio 2016

La caccia selvaggia - prima parte

Durante le lunghe notti invernali, preannunciata da venti impetuosi, tuoni e fulmini, cavalca attraverso le foreste ed i campi una terrificante armata: si tratta della “Caccia Selvaggia”, un’orda di spiriti composta da fanti, cavalieri, cani che ululano e cacciatori a cavallo di destrieri dagli occhi infuocati. Chiunque si trovi fuori dalle mura di casa in questo periodo può correre il rischio di avvistare – o essere avvistato- da questa armata fantasma, finendo per essere trascinato chilometri lontano, o peggio. Lo sfortunato che si avventuri comunque fuori dal consesso abitato, sfidando la sorte, deve fare molta attenzione ai segnali che preannunciano il passaggio della Caccia: come dicevamo all’inizio, venti impetuosi – che tuttavia sono chiaramente soprannaturali, poiché non muovono le fronde degli alberi – tuoni e fulmini, l’ululare dei segugi, il rumore fragoroso della cavalcata, il grido di colui che la conduce: "Wod! Wod! Midden in dem Weg!" (In mezzo alla strada!); non appena si rende conto di ciò che sta per succedere, si deve immediatamente gettare a terra, lì dove si trova (l’armata infatti risparmia soltanto coloro che rimangono nel mezzo del sentiero), e nascondere il viso nel terreno, senza mai cercare di scorgere il passaggio degli spiriti. Se è fortunato non subirà alcun danno, ma sentirà soltanto la scia gelida degli spiriti che gli passano sopra; altrimenti, verrà catturato e dovrà unirsi alla caccia, a completa disposizione del suo comandante.

Il mito della “Caccia Selvaggia” viene tramandato e annoverato nel folklore europeo fin dall’antichità pre-cristiana, particolarmente sentito nelle regioni germaniche e scandinave. In molte versioni della leggenda, a capo della Caccia Selvaggia si trova il dio Odino, nell’aspetto di dio del vento e a cavallo di Sleipnir, il suo destriero a otto zampe; in questa veste, era conosciuto come “il Cacciatore Selvaggio”.

I protagonisti
Come già accennato, la caccia selvaggia era composta da spiriti di guerrieri morti da poco, a piedi o a cavallo, accompagnati da vari animali: spesso segugi neri, ma anche maiali e galli. Il corteo insegue una preda che varia a seconda delle tradizioni: buoi , cavalli oppure giovani donne. Il loro aspetto è quello che avevano durante la loro ultima ora di vita: spesso sono insanguinati o portano la loro testa sottobraccio; di solito non parlano, oppure, solo uno di loro si rivolge direttamente agli esseri ancora in vita. A volte nel corteo era possibile scorgere persone ancora in vita, segno inequivocabile della loro prossima dipartita.
Cavalli e cani sono presenti in quasi ogni tradizione: possono essere neri, grigi o bianchi; i cavalli spesso hanno anche narici infuocate e arti mancanti, o, al contrario, in sovrannumero (un esempio su tutti, Sleipnir, la cavalcatura di Odino) connotazione visiva della loro appartenenza al regno ctonio. L'animale più importante è il cavallo, il cui ruolo come psicopompo emerge chiaramente sia alivello folkloristico che a livello archeologico: uomini e cavalli venivano sepolti insieme: si credeva che i morti passassero attraverso l'altro regno a cavallo; un cavallo veniva sepolto nei nuovi cimiteri, prima del primo essere umano.
Oltre al suo legame con la morte, il cavallo è anche connesso alla fertilità: infatti molto grano era lasciato come offerta alla cavalcatura del Re della Caccia Selvaggia, per assicurare un buon raccolto nell'anno a venire.

Difese dagli spiriti della Caccia Selvaggia

Alcuni accorgimenti possono evitare di essere catturati: ad esempio, portare sempre con sé un pezzo di pane (da dare ai cani, se li si incontra per primi) o un pezzo di ferro (da lanciare contro i cacciatori); brandire la spada, colpendo l’aria intorno a sé; disegnare un cerchio di protezione nel terreno; chiedere un rametto di prezzemolo al Comandante della Caccia, prima che lui possa dire qualsiasi cosa; usare parole di rispetto e reverenza: in quest’ultimo caso si può addirittura venire ricompensati con parte del bottino della caccia: una coscia di cavallo o bue che, se tenuta con sé fino al mattino, si tramuterà in oro.
Membra umane sono la macabra ricompensa per chi non rispetta i dovuti modi di fronte al re della caccia, ma ci sono anche conseguenze peggiori, come la morte o la totale scomparsa dal mondo dei vivi.

Giorni, usanze e taboo

Sebbene si possa incontrare in qualsiasi momento dell’anno, la Caccia è generalmente connessa al periodo dei 12 giorni che separano Natale dell'Epifania, o, nella tradizione norvegese, 12 giorni prima di Natale, durante la notte di Santa Lucia.
Questo sta ad implicare la fine di inizio del nuovo anno con una serie di riti che vengono messi in atto in queste date per purificare, rimuovere e scacciare il vecchio, i demoni e il male, l'estinzione e la successiva ri-accensione dei fuochi; prima dell'introduzione del calendario gregoriano, il nuovo anno si celebrava all'inizio della primavera, a marzo; alla fine di febbraio vi erano le festività dedicate agli antenati, ovvero i dies parentales; uno dei nomi alternativi della caccia selvaggia è, non a caso, Goi: il nome del quinto mese d'inverno per gli antichi scandinavi, quinto mese che cadeva alla fine di febbraio ed era celebrato con particolari riti per scacciare l'inverno, purificare i villaggi e le abitazioni, commemorare i defunti; festività che corrisponde quasi esattamente agli Anthesteria greci, durante i quali i morti venivano invitati a entrare in questo mondo, ed ai Lupercales della tradizione latina, il cui proposito era quello di purificare la città e scacciare i demoni responsabili di malattia, infertilità e raccolti poveri. Usanze comuni legate a questi riti erano libagioni, banchetti e processioni rituali di cortei mascherati e molto rumorosi (frequente l'uso di sonagli, ad esempio).
Il momento della notte in cui era più spesso avvistata la Caccia si situa fra le 11 e mezzanotte o tra mezzanotte e l'una del mattino; il giorno, indicato raramente, è il sabato: un giorno che fa pensare al sabba e ricollega la Caccia Selvaggia a quella del volo notturno delle streghe. Guardando queste date e questi orari possiamo vedere che tutti indicano momenti dell'anno e del giorno che sono connessi al cambiamento, alla fine o all'inizio, ovvero periodi liminali, di transizione; oltretutto questi periodi sono anche associati con pratiche divinatorie: in Austria, per esempio, i 12 giorni che vanno da Santa Lucia a Natale prefigurano che cosa succederà nei 12 mesi dell'anno successivo; il clima di questo periodo avrebbe predetto quello dell'anno successivo; tutti questi giorni, inoltre, erano segnati dalle proibizioni di certi lavori, principalmente tessere e filare, ma vi era anche il taboo del matrimonio: infatti, in questo periodo di transizione i morti camminavano in mezzo ai vivi ed era possibile prendere come sposa una donna appartenente al mondo infero. (…continua)

Per approfondire


In Italiano
Dario Spada, La caccia selvaggia, Società Editrice Barbarossa 1994

In inglese Ellen Dugan – Seasons of Witchery, Llewellyn 2012
Jacob Grimm, Teutonic mythology, 1880
K. H. Gundarsson, The Folklore of the Wild Hunt and the Furious Host, Mountain Thunder 7(1992). Claude Lecouteux, Phantom Armies of the Night, Inner Traditions 2011

 Il dipinto "Åsgårdsreien" del pittore norvegese Peter Nicolai Arbo raffigurante la caccia selvaggia, 1872, Galleria nazionale di Oslo

lunedì 4 gennaio 2016

Un Capodanno, molti Capodanni

Capodanno: Quando e Perché

Oggi la data del Capodanno è ufficialmente fissata, quantomeno nel mondo occidentale, al 1° gennaio. Tuttavia non è sempre stata questa la data del Capodanno, o meglio, non è sempre stata l'unica data del capodanno. In quanto neopagana che non aderisce a una tradizione in particolare, mi trovo a scherzare sul fatto che mi capiti di celebrare tre o più capodanni all'anno (personalmente e arbitrariamente scelgo il 1° novembre, il 1° gennaio e il 1° marzo, anche perché li sento culturalmente vicini e soddisfacenti a livello logico-intuitivo); non li celebro come veri momenti in cui spostare in avanti la numerazione progressiva degli anni, ovviamente, ma come momenti di passaggio rituale.

Per spiegare il perché della variabile dei Capodanni presso diversi popoli antichi, Baldini e Bellosi scrivono con parole perfette:

«Stiamo parlando, qui, di una concezione del tempo principalmente ciclica, anziché lineare: l'anno visto e inteso come un cerchio, un qualcosa che si dipana sempre uguale a se stesso e su se stesso ritorna, perennemente. E in un cerchio, lo sappiamo, non c'è un punto solo indicato per rappresentarne l'inizio o la fine, né lo spostare quello che si fosse individuato provoca alterazioni della figura e delle sue dimensioni. (…) Il tempo è stato a lungo avvertito proprio secondo questa dinamica, da parte di società che erano principalmente legate a modi di vita e di produzione condizionati dai ritmi della natura. La fine dell'anno veniva, in queste società, intesa e celebrata quindi come chiusura di un ciclo, annullamento del passato e inizio di un nuovo arco di tempo che andava affrontato dopo riti di rinnovamento e di purificazione che liberassero dai mali e dai gravami del passato, e fossero propedeutici e propiziatori per il nuovo iter. (…)
Ma qual era, nel cerchio, il punto di fine-principio, cioè quello del capodanno? Come già accennato, questa data non era la stessa per tutti, e non lo è stata fino a tempi relativamente recenti. Popolazioni dedite a culti solari o più rivolte al ciclo astrale ponevano il capodanno nella data del solstizio invernale; altre lo ponevano all'arrivo della primavera o a quello della «stagione scura»; altre ancora, unendo scansione astrale e scansione climatica, all'equinozio o al primo plenilunio primaverili.
Scansioni diverse, poi, in tempi diversi, possono essere state valide per una stessa popolazione, perché i calendari si sono nei secoli evoluti, sono stati cambiati dall'interno per generale consenso o dall'esterno per l'imposizione di modelli nuovi. (...) E ancor oggi, nel calendario moderno, o a livello ufficiale (compreso il liturgico) o a quello folklorico, le grandi tappe di passaggio dell'anno sono tutte in qualche modo rimaste presenti e più o meno importanti: il periodo solstiziale invernale è alla base del ciclo natalizio, che ingloba il capodanno ufficiale; il Carnevale celebra la fine dell'inverno ma, ancor più, ha in sé i segni (ormai declinati) della «grande festa» di capodanno, quindi celebrazione di morte-rinascita e di rinnovamento; nel folklore sono rimasti i riti di Calendimarzo (un vecchio capodanno dei Romani, oltre che spartiacque stagionale) e di Calendimaggio; (…) nei primi giorni di novembre, antico capodanno celtico, troviamo in vasti areali un ciclo festivo conservato ancor oggi.»

Questa introduzione ha già messo in luce alcune questioni interessanti: la concezione ciclica del tempo, che è un'interpretazione molto cara anche ai neopagani (sebbene i cicli stagionali oggi influenzino le nostre vite in misura minore); il fatto che un capodanno potesse essere fissato arbitrariamente e spontaneamente da un popolo a seconda delle sue priorità, del suo schema di ragionamento; la stratificazione storica fra diverse tradizioni, che da sempre contribuisce alla ricchezza culturale e folklorica di ogni popolo (e noi occidentali postmoderni non facciamo eccezione, non è fantastico?); ultimo ma non ultimo, qualche accenno ai rituali apotropaici e purificatori che accompagnavano il passaggio fra l'anno vecchio e quello nuovo (e tutto il periodo di “sospensione del tempo” in cui si svolgevano le feste di passaggio), i botti, i falò, le scampanate, le “cacciate dei demoni”, che approfondiremo più avanti.
Si può pensare che con l'avvento del Cristianesimo, la religione che prometteva di uniformare la cultura europea e mondiale, il Capodanno sia stato fissato in modo definitivo, magari intorno alla Nascita di Cristo o di qualche altra grande festa importante come la Pasqua. Invece, riporta il Cattabiani che la data del Capodanno ha continuato a patire variazioni e regionalismi fino alle soglie del XIX secolo: in Inghilterra e Irlanda tra il XII e il XVIII secolo il Capodanno è stato celebrato il 25 marzo, forse per ragioni che lo vedevano coincidere con il ritorno della primavera; nella cattolicissima Spagna, dai primi del 1600 è stato fissato al 25 dicembre; in Francia il Capodanno veniva datato alla domenica di Resurrezione, ossia alla Pasqua; in Veneto si usava iniziare il nuovo anno al 1° marzo, come gli antichi romani; ma la data del Capodanno in molti luoghi variava perfino di città in città. La datazione al 1° gennaio, sebbene in uso presso i romani in età imperiale, venne abbandonata nel Medioevo perché quella data non era collegata né a un evento astronomico né a una ricorrenza religiosa.

Il Cattabiani giustamente conclude così:

«Per questo motivo oggi ancora il periodo compreso fra il solstizio invernale e la Pasqua è costellato di feste, cerimonie e usanze che direttamente o indirettamente celebrano o si ispirano alla nascita del nuovo anno. Persino il Carnevale, come si spiegherà, è una festa di passaggio dal vecchio al nuovo anno.»



Capodanno: Chi

Calendario romano: ritorno della Primavera o momento di passaggio in mezzo all'inverno?

      L'inizio dell'anno romano cadeva il primo Marzo, in prossimità dell'inizio della primavera, o a Gennaio, il mese dedicato a Giano Bifronte? Probabilmente avrete letto entrambe le versioni, e sono entrambe corrette. In epoca repubblicana l'anno iniziava a marzo, ma in seguito la data venne posticipata.
Sempre Cattabiani scrive:

«Ma perché i Saturnali cadevano proprio a dicembre e non alla fine di febbraio, poco prima della primavera che anticamente, a Roma, era il Capodanno? (…) l'antico anno romano era composto non di dodici ma di dieci mesi, come testimoniava il nome dell'ultimo, december, eco di un arcaico calendario di origine artica, ovvero indo-europea. I due mesi mancanti erano la «notte artica» che conduceva alla luce del «nuovo anno», simbolicamente analoga al «passaggio delle acque»: rinnovamento del cosmo che riattualizzava quello mitico.
Successivamente, con la leggendaria riforma calendariale di Numa, che aggiunse due mesi - gennaio e febbraio - all'anno romuleo, questo periodo di passaggio-rinnovamento venne situato prima del solstizio invernale, quando il sole attraversa una morte apparente per rinascere «nuovo», ovvero per risalire nel cielo. (…)
In ogni modo, già all'inizio dell'Impero, la tradizione del Capodanno si era consolidata, come testimonia Ovidio nei Fasti dove immagina che il 1° di gennaio gli appaia il dio Giano spiegandogli le usanze di quel giorno. Gennaio - Ianuarius in latino - era dedicato infatti al dio bifronte Ianus «che guarda indietro e avanti, alla fine dell'anno trascorso e all'inizio del prossimo». (…) Lo si rappresentava con due volti, l'uno barbuto e vecchio, l'altro giovane. La sua funzione era di presiedere agli inizi, alle soglie, ai passaggi da un periodo temporale a un altro compreso quello fra pace e guerra - e infine alle rinascite iniziatiche, essendo considerato l'Iniziatore per eccellenza. (...)
   La sua faccia bifronte rinviava al simbolismo solstiziale, come d'altronde egli stesso affermava nei Fasti dicendo a Ovidio al quale era apparso: «Io solo custodisco il vasto universo e il diritto di volgerlo è tutto in mio potere». (...)
A Giano era dunque dedicato il mese che aveva sostituito marzo come inizio dell'anno. E a lui il sacerdote offriva alle Calende farro mescolato a sale e uno ianual, una focaccia di cacio grattugiato, farina, uova e olio cotti al forno, forse per propiziare l'influenza benefica del dio sulla natura e sui futuri raccolti.»


Calendario Celtico: iniziare dalla fine

Per i celti, il nuovo giorno iniziava al tramonto di quello che per noi è il giorno precedente, e non, come diremmo oggi intuitivamente, all'alba o a mezzanotte. Non è strano quindi pensare che per loro il nuovo anno iniziasse al termine dell'estate. Il Capodanno era infatti anche l'inizio della stagione invernale, la festa di Samhain, che oggi è tornata in auge grazie alla fama di alcune religioni neopagane come la Wicca e ovviamente il Druidismo.
I celti dividevano l'anno in due stagioni: l'estate, che cominciava a Beltane (che oggi coincide con l'inizio di maggio) e l'inverno, che iniziava a Samhain o Samonios (i primi giorni di novembre). Secondo recenti teorie, i celti ordinavano il tempo basandosi su un complesso calendario luni-solare e le loro feste principali erano stabilite sulla base delle levate eliache di deterninate stelle. La data di Samhain coincideva con le levate eliache di Antares, che secoli fa avvenivano ai primi di novembre, ma che oggi si sono spostate verso metà novembre. C'è quindi chi sceglie di festeggiare Samhain più avanti rispetto alla data tradizionale, verso l'11 novembre, per coerenza verso la coincidenza astrale della data; invece altre persone continuano a celebrare la festa nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, e/o nelle notti immediatamente seguenti, perché confidano di più nella validità di una tradizione consolidata... una tradizione che ha subito molte trasformazioni in epoca cristiana, ma era comunque sopravvissuta fino ai tempi moderni.
Non è questa la sede per parlare delle sopravvivenze di Samhain attraverso le festa di Ognissanti e di Halloween, ma ci sono molti libri interessanti sull'argomento che troverete nei consigli bibliografici.
Quello che interessa questo articolo sono i tratti che Samhain ha e aveva in comune con gli altri Capodanni delle diverse culture; diverse date, ma, come si vedrà, una comune logica di fondo.

Circa il Capodanno Celtico, scriveva Cattabiani:

«Il 1° novembre è lo spartiacque fra un anno agricolo e l'altro. Finita la stagione dei frutti la terra, che ha accolto i semi del frumento destinati a rinascere in primavera, entra nel periodo del letargo (...).
Per i cristiani si celebrano in questi giorni due feste importanti, Ognissanti e la Commemorazione dei defunti. Ma un tempo, nelle terre abitate dai Celti, che si estendevano dall'Irlanda alla Spagna, dalla Francia all'Italia settentrionale, dalla Pannonia all'Asia Minore, questo periodo di passaggio era il Capo d'anno: lo si chiamava in Irlanda Samuin ed era preceduto dalla notte conosciuta ancor oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle Calende d'inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico, come già si è constatato in altri periodi critici dell'anno.
Era festa grande per i Celti, così come le feste solstiziali di Capodanno lo erano per i Romani, e veniva ancora celebrata all'inizio del medioevo. Per cristianizzarla l'episcopato franco istituì al 1° novembre la festa di Ognissanti alla cui diffusione contribuì soprattutto Alcuino (735-804), l'autorevole consigliere di Carlo Magno.»

Sottolineo questo passaggio molto interessante:

«Se i Celti festeggiavano i morti al 1° novembre, gli antichi Romani dedicavano loro nove giorni di febbraio, durante il passaggio dall'inverno alla primavera, dal vecchio al nuovo anno; e anche quando le Calende di gennaio s'imposero come unico capo d'anno si continuò a onorare gli antenati durante i Parentalia che duravano dal 13 al 21 febbraio.»

L'autore lascia intendere un rapporto abbastanza diretto fra il Capodanno e il culto degli antenati, o quantomeno con la credenza che i morti ritornino in simili momenti di passaggio fra il vecchio e il nuovo anno. Una credenza comune sia ai celti che ai romani.



Capodanno: Come

Tradizioni di Capodanno e dei momenti di passaggio

Conosciamo bene quali siano le principali tradizioni legate al nostro Capodanno: botti, fuochi d'artificio, in alcuni luoghi anche fiaccolate, processioni, scampanate, e perfino oggetti e mobili gettati dalla finestra e colpi di pistola in aria (alcune cose in effetti sono molto pericolose, e non solo per i nostri amici animali come da recenti polemiche). Le luci, le fiaccole, i fuochi d'artificio, possono essere letti in connessione al simbolismo della luce e del fuoco solstiziale, alla rinascita del nuovo Sole. Ma il baccano, i botti e il lancio dei mobili e delle suppellettili vecchie dalla finestra sono chiari simboli dell'espulsione del vecchio anno, dei suoi aspetti negativi, dei brutti ricordi, dei pesi e delle colpe, degli errori, perfino dei demoni, degli spiriti maligni. Le scampanate invece hanno una simbologia duplice, il frastuono dovrebbe scacciare gli spiriti maligni ma le scampanate sono spesso rimembranze di riti della fertilità, quindi sono anche di buon auspicio per l'anno venturo.
Riferisce James Frazer che in Boemia a capodanno gli spari in aria servivano ad allontanare le streghe che fuggivano spaventate, mentre in Thailandia si esegue ogni anno l'espulsione dei demoni nell'ultimo giorno dell'anno vecchio. Si spara dal palazzo una cannonata: vi si risponde dal posto più vicino, e così via di posto in posto finché gli spari han raggiunto la porta esterna della città: così i demoni vengono cacciati passo a passo.

Cattabiani però specifica:

«Ma, come si spiegherà più diffusamente a proposito del Carnevale, della notte di santa Valpurga e di quella di Hallow'en, i demoni non sono se non i morti che in ogni periodo di transizione riaffiorano per mescolarsi ai vivi, per contribuire - come semi - al rinnovamento cosmico. Terminato il passaggio ovvero il «rimescolamento», i morti vengono ricacciati negli inferi e la «nuova vita» riprende il sopravvento. Che altro è d'altronde, come s'è già spiegato, la Befana o Comare secca che viene bruciata dopo il suo passaggio?
Nella notte di San Silvestro si sono rifugiate in parte le usanze dei Saturnali che la Chiesa aveva a poco a poco scacciato dai giorni che precedevano e seguivano immediatamente il Natale. Altre invece, come le mascherate, sono confluite nel Carnevale.»

I Saturnali con i loro disordini erano il preludio del nuovo anno, del capodanno invernale, così come il Carnevale con le sue gozzoviglie e i suoi schiamazzi è un preludio del “capodanno” primaverile? Questa affermazione forse è un po' spinta ma è degna di una riflessione, comunque. Gli autori Baldini e Bellosi si esprimono in questi termini quando scrivono delle diverse feste che figurano ancora nel nostro calendario liturgico e folklorico:

«In alcune di queste ricorrenze, più che in altre, traspare il loro essere state dei capodanni a tutti gli effetti. Per fermarci a quelle che interessano il nostro Paese e il suo folklore, citiamo il dōdekaēmeron (cioè un periodo di dodici giorni) che va da Natale all'Epifania, il Carnevale e appunto un altro dōdekaēmeron, quello che va dal 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, all'11 novembre, giorno di San Martino. In ciascuna di queste feste, più che in altre, sono evidenti gli elementi che ci conducono in questa direzione: cerimonie di rinnovamento del tempo e della comunità, strenne, questue rituali, maschere che rappresentano un ritorno dei morti reso possibile dall'instaurarsi di un «tempo magico», di un «tempo fuori del tempo» che comporta l'annullamento delle barriere che separano la dimensione terrena dall'aldilà, divinazioni, grandi banchetti e feste.»


Un altro punto importante è stato chiarito: come era stato già accennato precedentemente, le feste di passaggio più importanti sono solitamente accompagnate da periodi in cui il tempo è sospeso, in cui perfino il regolare ordine del mondo è sospeso. Come i Saturnali romani, come le Feste dei Folli, il Natale del medioevo vede la distinzione tra le classi sociali temporaneamente abolita, schiavi e servitori siedono alla tavola dei padroni che diventano loro domestici; c’è perfino scambio di abiti tra i sessi. Tutto ciò veniva fatto per riconoscere e “contenere” il ritorno dei morti in questo mondo. Ma fra i vivi, chi poteva rappresentare i morti e farne le veci? Per questo ruolo erano scelti coloro che, in un modo o nell’altro, non sono ancora pienamente integrati nel gruppo sociale: dopotutto il “morto” è prima di tutto “altro”. Non sorprende che siano i poveri, gli stranieri, gli schiavi, i bambini e gli anziani i principali beneficiari di questo tipo di feste.

Aggiunge Lévi-Strauss:

«Non é perciò sorprendente che Natale e Capo d’anno (suo doppione) siano feste imperniate sui regali: la festa dei morti è essenzialmente la festa degli altri, poiché il fatto di essere “altro” è la prima, immagine ravvicinata che possiamo farci della morte.»

Di nuovo, si pone l'accento sul rapporto fra il ciclo dell'anno, la vegetazione e il ritorno dei defunti. Per capire al meglio questo punto, consiglio di leggere la magnifica introduzione a Babbo Natale Giustiziato, di Lévi-Strauss, scritta da Antonino Buttitta, di cui posso solo riportare alcuni stralci:

«[Nelle culture archaiche] non c'era frontiera tra l'animato e l'inanimato, quindi assai vago era il confine tra la vita e la morte. (...) I vivi e i morti non appartenevano a classi dissimili ma gli uni erano solo l'inverso dei primi. (...) Il rapporto tra defunti, bambini e cicli vegetali era sentito in termini così cogenti che presso molti popoli «culti funebri, agrari, genitali si interpenetravano, talvolta sino a completa fusione...» (…) Era il tempo del ritorno dei morti, dei revenants, come dicono i francesi. Un ritorno tanto atteso quanto temuto. Atteso, perché è il mondo sotterraneo e senza luce, dove sono costretti i morti, che consente il germinare delle sementi; è il loro ritornare a vivere che rifonda la vita. Temuto, perché essi, antimondo, ritornano per ribadirne la complementarietà col mondo, il loro rapporto indissociabile con esso; per chiedere il rispetto del patto stabilito tacitamente con i vivi. Continueranno a garantire l'annuale rinascita della vegetazione se i vivi avranno rispettato il «contratto sociale» che fonda l'ordine cosmico, sia riguardo agli obblighi connessi al soddisfacimento del loro bisogno di luce e di cibo, sia alle norme che regolano la gerarchia sociale e generazionale costitutiva di questo ordine. (...)
È quindi naturale che i rituali più importanti dell'anno si incontrino in un periodo che va dal mese di novembre, che precede il solstizio d'inverno, al mese di marzo in cui cade l'equinozio di primavera (21 marzo). È infatti da novembre a marzo che si assiste al morire e rinascere della natura, dunque del tempo. Celebrate in mesi e giorni diversi in rapporto all'andamento stagionale delle diverse fasce climatiche, cioè dei diversi ritmi agrari, queste feste rispondono tutte alla stessa funzione: rigenerare la forza attiva della vegetazione e implicitamente promuovere la rifondazione della società attraverso la rigenerazione del tempo. Sono dirette a ristabilire l'equilibrio interrotto tra la morte e la vita mediante la riproposizione del contratto tra vivi e morti; a ristabilire la forza unitaria del cosmo sulla situazione di caos scatenata dal loro ritorno minaccioso per effetto della sua rottura. Esorcizzano il rischio, figurativamente esibito, del capovolgimento dell'ordine del mondo, dell'annullamento e dell'inversione dei ruoli naturali e sociali, del prevalere del demoniaco segnalato dal dilagare delle maschere. Ricodificano in forme rituali, dunque dotandole di maggiore potere, questue e doni, giochi e pranzi collettivi per rinvigorire attraverso l'ostentazione di sovrabbondanza mentale, fisica, alimentare, l'energia consumata del cosmo. Ecco perché l'orgia è un aspetto essenziale delle feste di rifondazione del tempo, dunque dei morti, e delle - feste in genere. Gli eccessi sono un elemento costitutivo della economia del sacro. (...) Sono i giorni di Halloween nei Paesi anglosassoni e della festa siciliana dei Morti, di Babbo Natale e dei suoi derivati, della Befana e delle sue varianti, della Candelora e di Carnevale, dei riti pasquali e di San Giuseppe. In ciascuna di queste feste, malgrado le trasformazioni in certi casi anche sostanziali, prodottesi soprattutto nel Medioevo per intervento consapevole e sistematico della Chiesa, l'ideologia arcaica di cui costituiscono la drammatizzazione figurativa, si può cogliere nel disegno complessivo anche se più o meno sfocato, oppure attraverso frammenti, più o meno leggibili. È evidente che dietro figure e personaggi mascherati si nascondono i morti. (...) La sospensione delle gerarchie sociali che vediamo attuata nel corso di questo tipo di festività nei Saturnali, da cui si fa derivare a torto il Carnevale, richiamandosi entrambi a un comune modello, più che nei termini suggeriti dall'antropologo francese, deve essere letta come segnale dell'instaurarsi di una situazione di caos conseguente all'esaurirsi del ciclo del tempo.»


Sperando che tutto ciò sia spunto di riflessione, chiudo con una considerazione personale.
È molto bello che il Solstizio sia per tutti noi una festa di luce, il saluto al sole che torna. Nel nostro Capodanno i fuochi e le luci colorate fanno le veci dei falò rituali. Tuttavia non dovremmo dimenticare che il solstizio, come tutti i momenti di passaggio, ha anche un aspetto oscuro, è un momento in cui la notte è molto più lunga del giorno e vede il temporaneo ritorno dei defunti; nelle notti fra Natale e l'Epifania, in cui ricade il nostro Capodanno, così come nelle notti intorno a Samhain che era il capodanno celtico, così come forse anche a Carnevale, le tradizioni di varie regioni europee (anche italiane) si aspettano di veder passare la Caccia Selvaggia, il macabro e feroce corteo guidato da Wotan, oppure la Mesnee d’ Hellequin (capo della caccia selvaggia in alcune regioni alpine e francesi, Hellequin, uno spirito della natura mascherato, sarà ereditato dalla commedia dell’arte italiana... e riproposto a carnevale come Arlecchino), oppure la processione di Perchta o di Holda. Quindi speriamo nell'annunciato ritorno della luce, il nuovo anno è iniziato, ma per il momento battiamo i denti... almeno fino all'epifania, che per un po', tutte le feste porta via.


Nikker



Disclaimer per le immagini:

Le immagini dei nostri simpatici romani che festeggiano il capodanno sono state gentilmente concesse dalla pagina Facebook umoristica “Il Triumvirato”, consiglio di farci un giro.



Fonti delle citazioni, testi e siti per approfondire:

AAVV, Le vere origini di Halloween
E. Baldini, G. Bellosi, Halloween. Nei giorni che i morti ritornano
E. Baldini, G. Bellosi, Tenebroso Natale. Il lato oscuro della grande festa
F. Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell'anno
A. Cattabiani, Calendario
R. Fattore, Feste pagane
J. Frazer, Il ramo d'oro
A. Gaspani, Il calendario di Coligny. Misura del tempo presso i celti
G. Kezich, Carnevale re d'Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d'inverno
A. Kondratiev, Il tempo dei celti. Miti e riti: una guida alla spiritualità celtica
C. Lévi-Strauss, Babbo Natale giustiziato (consiglio l'edizione con l'introduzione di Buttitta)
C. Manciocco, L. Manciocco, L'incanto e l'arcano. Per una antropologia della Befana
J. Markale, Halloween
J.-C Schmitt, Medioevo «superstizioso»