lunedì 18 gennaio 2016

La caccia selvaggia - seconda parte


Stessa caccia, molti cacciatori

Sebbene si trovi in tutta Europa in modo simile nelle sue componenti principali (viene sentito un gran rumore, un abbaiare di cani e scoppi di urla, poi un Cavaliere su un cavallo nero, bianco o grigio, irrompe attraverso l'aria con i suoi segugi, seguito da un corteo di spiriti) bisogna tenere presente che la Caccia Selvaggia è sempre associata a leggende regionali e a frammenti di storia, dando così luogo a molteplici versioni.
Probabilmente trae origine dalla mitologia nordica e si diffonde in Bretagna, Francia, Germania, fino alle Alpi: così Odino si trasforma in Re Artù (Britannia), Carlo Magno (Francia), Nuada (Irlanda), Gwyn Ap Nudd (Galles) seguito dal suo branco di segugi bianchi con orecchie color sangue, re Waldemar (Danimarca), l’Exercito Antiguo (Spagna).
Nell’Inghilterra meridionale diventa Herla, un leggendario re dei Bretoni, famoso per il suo viaggio senza ritorno nel regno Oltremondano.
In età post cristiana la cavalcata viene guidata dal diavolo stesso e la processione diventa un corteo di anime dannate, la cosiddetta Masnada Hellequin.


Mesnie Hellequin - Arlecchino

La prima testimonianza scritta di cui si dispone è contenuta nell’Historia Ecclesiastica, scritta dallo storiografo Normanno Orderico Vitale nella prima metà del 1100 d.C., che riporta il racconto del prete normanno Gualchelmo; la notte di capodanno egli è testimone del passaggio della Familia Herlequini – la Masnada Hellequin. Il corteo (exercitus mortuorum) è composto da esseri infernali e mostruosi che infliggono atroci pene ad anime, sia uomini che donne, destinate alla dannazione. 
L’etimologia del termine è controversa: potrebbe indicare sia “gli uomini, i soldati di Herla” (in inglese antico thegn =soldato), così come “il cane di Herla” (in patois normanno quin = cane). In entrambi i casi è probabile il suo riferimento ad uno dei protagonisti della caccia, il Re Herla menzionato sopra. Secondo alcuni studiosi, da questo nome deriverebbe poi la figura della maschera Arlecchino.
La Masnada Hellequin, variante diffusa soprattutto in Normandia, rimane conosciuta fin verso la fine del 1800 come un’armata fantasma, guidata da Satana in persona, composta da anime dannate, peccatori che non avevano fatto in tempo ad ottenere l’assoluzione prima della morte, condannati a correre per l’eternità attraverso i cieli e a ritornare periodicamente alle loro antiche dimore.




Il culto dei morti

È importante notare la grande variabilità del mito della caccia selvaggia, la sua capacità di mischiarsi con altre credenze popolari e di prendere da esse elementi, combinandoli attraverso i secoli.
Nonostante i cambiamenti e le interpolazioni, possiamo vedere due direttrici principali nel mito: la prima è il culto degli antenati.
La seconda riguarda i riti che culminano nelle processioni mascherate simili al carnevale: con l'arrivo e il diffondersi del cristianesimo, il condottiero della caccia selvaggia è stato ridotto al rango di demone o anima dannata, ma originariamente era certamente una divinità psicopompa, come testimoniano anche i suoi animali, il cane ed il cavallo, di cui abbiamo già parlato nella prima parte di questo articolo.
Entrambe, comunque, si ricollegano ad uno scopo ben preciso: propiziarsi i morti, in quanto essi presiedevano alla fertilità del suolo e alla fecondità del bestiame.

Scrive Mircea Eliade:

L'agricoltura, come tecnica profana e come forma di culto, incontra il mondo dei morti su due piani distinti. Il primo è la solidarietà con la terra; i morti, come i semi, sono sotterranei, penetrano nella dimensione ctonia accessibile solo a loro. D'altra parte, l'agricoltura è per eccellenza una tecnica della fertilità, della vita che si riproduce moltiplicandosi, e i morti sono particolarmente attratti da questo mistero della rinascita(...) Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti(…)
Il banchetto collettivo rappresenta appunto tale concentrazione di energia vitale; un banchetto, con tutti gli eccessi che comporta, è dunque indispensabile tanto per le feste agricole quanto per la commemorazione dei morti. (…) anche i vivi hanno bisogno dei morti per difendere le semine e proteggere i raccolti. La Terra-Madre o la Grande Dea della fertilità, domina allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti. Ma questi ultimi, qualche volta, sono più vicini all'uomo, e l'agricoltore si rivolge loro perché benedicano e sostengano il suo lavoro (il nero è il colore della terra e dei morti)..”

La leggenda della caccia selvaggia rappresenta quindi una ricerca della conoscenza di questo mondo e dell'altro, mondi che costantemente interagiscono tra loro, dove non siamo mai da soli e dove possiamo sfuggire all'angoscia esistenziale soltanto perché sappiamo che siamo legati al futuro grazie al ricordo.
L’insegnamento che ne possiamo trarre tuttora è quello di non dimenticare: ricordare i morti, i nostri antenati, così che il nostro raccolto, fisico o più intangibile, possa crescere con la loro benedizione; altrimenti corriamo il rischio che il passato bussi comunque alla nostra porta, reclamando il necessario tributo.



In Italiano

Dario Spada, La caccia selvaggia, Società Editrice Barbarossa 1994
M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati-Boringhieri 2008


In inglese

Ellen Dugan – Seasons of Witchery, Llewellyn 2012
Jacob Grimm, Teutonic mythology, 1880
K. H. Gundarsson, The Folklore of the Wild Hunt and the Furious Host, Mountain Thunder 7(1992).
Claude Lecouteux, Phantom Armies of the Night, Inner Traditions 2011


1 commento:

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